Il decreto ha l’oro in bocca – 2

Dopo la solenne stroncatura della Banca Centrale Europea all’ipotesi di tassazione delle plusvalenze non realizzate sullo stock di oro detenuto dalla Banca d’Italia, il governo e il ministro Giulio Tremonti tornano alla carica, con un emendamento “correttivo”, ma che in realtà non corregge alcunché. Secondo l’emendamento, infatti, la tassa sull’oro resta al 6 per cento ma viene fissato un tetto di 300 milioni di euro sulle riserve alle quali si applica questa aliquota. Non ci sarà retroattività perché il tributo viene richiesto solo per l’anno di entrate in vigore della legge anti-crisi sui valori figurativi che risultano a fine anno. In caso di effettiva vendita dell’oro nei tre anni successivi l’imposta si applicherà solo sulla differenza che già non è stata tassata. L’emendamento, interamente sostitutivo dell’articolo 14 del provvedimento, si applica al periodo di imposta in corso. Nel testo viene anche specificata la necessità di un parere della Bce e, inoltre il parere conforme della Banca d’Italia. Tremonti ha poi perorato la causa del nuovo emendamento, ma con motivazioni che sfiorano il surreale.

Il ministro dell’Economia sostiene infatti che “l’emendamento ad avviso del Governo risponde ai rilievi formulati nel parere della Bce”, e recepisce la sostanza delle indicazioni ivi contenute”. A questa finalità rispondono alcune modifiche:

  • La misura del prelievo viene notevolmente ridotto entro l’importo massimo di trecento milioni;
  • Le disposizioni di prelievo si applicano alle disponibilità auree della banca d’Italia solo nella misura reputata funzionale dalla stessa Banca d’Italia a garantire l’indipendenza istituzionale e finanziaria della banca stessa nell’ambito del Sistema europeo di banche centrali;
  • Le disposizioni entrano in vigore a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrate in vigore della legge di conversione del decreto, proprio per consentire alla banca centrale di operare la ricognizione di cui al punto precedente.
  • Tradotto dal tremontese, il governo ha ritenuto di ridurre significativamente la base imponibile, fino ad un livello che non intacchi (secondo Tremonti) autonomia e indipendenza di Bankitalia nell’ambito del Sistema europeo delle banche centrali. Sarà la stessa Bankitalia a fornire parere motivato, dopo ricognizione. Sfortunatamente per Tremonti, la tassazione continua ad operare sul maturato e non sul realizzato, ed è proprio questa la violazione che Trichet contesta al governo.

    Il tentativo di bilanciare, col solito compromesso all’italiana, i due principi di tassazione consentendo a Bankitalia di “conguagliare quanto versato oggi in caso di realizzo entro tre anni della plusavalenza aurea”, è un equilibrismo privo di senso. Che farebbe il governo se Bankitalia decidesse di alienare l’oro tra tre anni e un giorno? E’ palese che questo limite temporale viola l’autonomia decisionale della nostra banca centrale. E ancora: se la vendita dell’oro avvenisse entro il triennio ma a prezzo inferiore al valore assegnato oggi a bilancio che farebbe il governo, rimborserebbe Via Nazionale della differenza?

    Non pago di questo free-climbing sui vetri, Tremonti inserisce nella lettera alcune considerazioni in risposta ai rilievi della Bce, alla luce delle “novità” apportate. La prima riguarda “l’indipendenza istituzionale e finanziaria della banca centrale”:

    “Con riguardo al divieto di finanziamento monetario del settore pubblico da parte delle banche centrali, stabilito nell’articolo 101 del Trattato, la nuova formulazione della norma ne accentua, rispetto alle precedenti formulazioni del testo, il carattere di norma di fiscalità generale, tanto più che la sua applicazione alla Banca d’Italia viene rimessa alla valutazione della Banca stessa”.

    Fiscalità generale? Ma quanti sono i soggetti d’imposta colpiti da questa disposizione? Voi conoscete aziende industriali e commerciali che detengono riserve auree non destinate ai  processi produttivi? E peraltro la norma non si applica alle imprese orafe. Chi resta, quindi? La Banca d’Italia. E poi, quando mai una norma di fiscalità generale, che è la modalità di esercizio dell’imperio statale, richiede preventivo assenso del soggetto passivo d’imposta? Mistero. Non pago di queste bizzarre considerazioni, Tremonti veste il proprio argomentare di una valenza erga omnes che c’entra come i cavoli a merenda con l’oggetto dei rilievi di Francoforte:

    ”La Bce osserva che l’articolo assoggetta a tassazione le plusvalenze non realizzate maturate con riferimento all’apprezzamento delle riserve auree della Banca d’Italia, mentre di norma le imposte sulle plusvalenze o sui redditi da capitale sono invece applicate sugli importi dei profitti realizzati che risultino dalla vendita di un cespite o dal pagamento di dividendi, in modo che la base imponibile corrisponda al valore di profitti effettivamente realizzati. Al riguardo deve tuttavia ricordarsi come nell’ordinamento tributario italiano si riscontrino vaste e sistemiche ipotesi di tassazione che incidono sul cosiddetto maturato e non su quanto effettivamente realizzato”, ad esempio in materia di fondi comuni di investimento mobiliare.

    Scusi ministro, ma a lei pare che la tassazione degli attivi di Bankitalia possa ricadere analogicamente nella disciplina della tassazione del risparmio gestito? Mai sentito parlare di esigenza di tutela dell’indipendenza delle banche centrali dagli esecutivi? Per lei un fondo comune d’investimento è meritevole della stessa tutela, e viceversa? E poi, ci meravigliamo di lei: la tassazione sul maturato anziché sul realizzato venne introdotta dal suo arci-nemico Vincenzo Visco e da Romano Prodi nel 1997, in un  periodo di mercati finanziari assai brillanti, come espediente per fare gettito. Da allora, sia detto incidentalmente, le società di gestione italiane si portano dietro, in Europa, la maledizione della non commerciabilità dei fondi comuni di diritto italiano, che sono fiscalmente svantaggiati rispetto agli Oicr che godono di tassazione sul realizzato, e spesso sono state costrette a ricorrere alle Sicav di diritto lussemburghese ed irlandese. Per non parlare delle montagne di crediti d’imposta che, formatisi dopo il crollo dei mercati, oggi ingessano la gestione dei fondi nostrani.

    Per farla breve e non divagare, Tremonti suggella la sua linea argomentativa verso la Bce dando prova di capacità extrasensoriali:

    ”Va comunque osservato che, anche se nel caso in esame si parla di plusvalenze, la valorizzazione delle disponibilità di metalli preziosi assume a presupposto di imposizione un evento di carattere sostanzialmente realizzativo e quindi strutturalmente idoneo al concorso della formazione del reddito”

    Che tradotto significa: vabbè signor Trichet, non sottilizziamo: se la Banca d’Italia valorizza e rivaluta le proprie riserve auree è unicamente perché ha deciso che prima o poi le venderà. Quindi da oggi è ufficiale: abbiamo la lettura del pensiero come presupposto d’imposizione.

    Eppure, se Tremonti non si fosse incarognito a volere fortissimamente questi 300 milioni di euro, già ridimensionati rispetto al target iniziale di 1 miliardo di euro, avrebbe ottenuto lo stesso risultato di gettito ritoccando il costo delle giocate al Superenalotto e cose del genere. Invece no, serviva il coup de théâtre di una patrimoniale (ché di quello si tratta), per mostrare e dimostrare che “il padrone sono me”, il primato della politica eccetera eccetera. Continua a volerci pazienza, signori.

    Update: su lavoce.info il dettaglio tecnico delle motivazioni alla base del parere negativo della Bce. Ma non siete tenuti a leggerlo, sapete bene che quelli de lavoce sono pericolosi comunisti, giusto?

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