Nella blogosfera economica (e non solo) è scoppiato uno degli innumerevoli casi di polarizzazione del dibattito. Per alcuni, la ripresa è in corso e sarà vibrante (diciamo a forma di V); no, ribattono i pessimisti/realisti, sarà a forma di L, quindi lenta e dolorosa, soprattutto per l’occupazione. L’ultima sfida tra i due schieramenti vede in campo due pesi massimi dell’industria finanziaria anglosassone e globale. Da un lato Bill Gross, patron di Pacific Investment Management Co. (per gli amici, PIMCO), il più grande asset manager obbligazionario del mondo, oltre che il più influente dalle parti del Tesoro statunitense. Nominalmente posseduta dai tedeschi di Allianz, PIMCO è il regno incontrastato dello stesso Gross e del co-chief investment officer Mohamed El-Erian, che gestiscono oltre 750 miliardi di dollari di assets con 1200 dipendenti.
PIMCO lo scorso anno ha assunto come advisor-lobbista Alan Greenspan, e Bill Gross appare regolarmente sul controverso network televisivo CNBC, dove si esibisce in elucubrazioni che sono una via di mezzo tra la previsione di mercato ed il front-running. A settembre dello scorso anno PIMCO si era inzeppata di titoli dei due giganti dei mutui Freddie Mac e Fannie Mae, e dal loro salvataggio per mano del Tesoro ha portato a casa plusvalenze nette per 1,7 miliardi di dollari. Bravi al limite della preveggenza, nevvero? Oggi Gross si colloca nel campo dei teorici della sluggish growth, la crescita anemica da egli stimata in un desolante 3 per cento annuo di Pil nominale, una autentica miseria. Ma anche uno scenario di disoccupazione persistente, maggiore fragilità dei grandi complessi industriali, aumento strutturale del tasso di default. In sintesi, esigenza di costante intervento governativo a sostegno dell’economia perché, sostiene Gross, sotto il 5 per cento annuo di crescita nominale del Pil, “una porzione della capacità produttiva e del mercato del lavoro degli Stati Uniti dovranno essere permanentemente dismessi”.
Nell’altro schieramento c’è Tim Bond, responsabile dell’asset allocation di Barclays Capital. Da sempre (malgrado il cognome) un über-bear sull’obbligazionario, che vede piuttosto un violento rally azionario e congiunturale. Chi avrà ragione? Nei due esiste un evidente bias di ruolo (uno è sul buy-side, è un gestore obbligazionario; l’altro è sul sell-side, lavora per contribuire agli utili del suo datore di lavoro, e in ogni casa d’investimento generalista il grosso degli utili vengono dall’azionario, non dall’obbligazionario). E’ quindi evidente che è interesse/aspirazione di Gross quello di vivere in un mondo di obbligazioni e titoli di stato attraenti per gli investitori (e non ne fa certo mistero), mentre Bond porta a casa pane e companatico (molto di entrambi) soprattutto se i mercati azionari prosperano. Detto per inciso, a nostro avviso le motivazioni di Bond sono analogicamente gracili. Essere lautamente compensati per argomentare che “la storia fornisce abbondanti prove che quanto più profonda la recessione tanto più forte il rimbalzo” indica che qualcosa, nel sistema di allocazione delle risorse (umane ed intellettuali), non funziona come dovrebbe.
Tutto ciò premesso, noi abbiamo l’impressione (ma lo diciamo con preoccupazione, per motivi che stiamo per spiegare) che nel breve termine gli eventi potrebbero dare ragione a Bond. L’andamento furioso dei mercati azionari, realizzato non tanto in presenza di buone notizie sugli utili quanto sull’assenza (finora) di notizie disastrose sui medesimi, sta gonfiando paurosamente multipli quali il P/E, il rapporto prezzo/utili. Vogliamo chiamare le cose con il loro nome? Questa è una bolla, l’ennesima. Non poteva andare diversamente: con un mercato azionario in forte ascesa non si riparano solo i bilanci delle banche: i consumatori tornano a godere dell’effetto-ricchezza, che sostiene i consumi o perlomeno evita l’ulteriore innalzamento del tasso di risparmio. Una scorciatoia perfetta: con un un bel torello che sgambetta per casa chi ha bisogno di riforme della regolazione, protezione dei consumatori e quant’altro? In fondo, questa è l’America del “we deserve”, dell’eccezionalismo nella storia e nelle plusvalenze, giusto? Sbagliato. Di bolla in bolla il sistema si sfianca, il valore della moneta si distrugge, la fiducia nel sistema internazionale di scambi lascia il posto ad un mortale gioco di beggar-thy-neighbour.
C’è troppa liquidità nel sistema, e troppi interessi convergenti congiurano a far lievitare gli indici azionari, anche contro ogni logica e buon senso. Troppo alta è la posta in gioco, per tutti.
Ma, come amava dire l’economista italiano Maffeo Pantaleoni, non c’è nulla di più vendicativo dell’economia. Un principio eterno che noi e i nostri soldi del Monopoli abbiamo ormai scordato. E mal ce ne incolga.
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