Ron Paul diventa socialista, pur di abbattere il dominio della Fed

di Mario Seminerio – Libertiamo

Giovedì il Financial Services Committee della Camera dei Rappresentati statunitense ha approvato per 43 voti contro 26 il cosiddetto emendamento Paul-Grayson “Audit the Fed“, inserito nella cornice del bill “Financial Stability Improvement Act of 2009“, in discussione alla Camera. L’emendamento è stato presentato dal Repubblicano del Texas Ron Paul e dal Democratico della Florida Alan Grayson, e prevede l’assoggettamento sostanziale (pur vietandolo formalmente) delle decisioni della banca centrale statunitense in materia di politica monetaria e di rapporti con le istituzioni finanziarie internazionali al General Accountability Office (GAO), simile alla nostra Corte dei conti, ma che agisce su mandato e richiesta del Congresso.

L’idea di Ron Paul, che nasce come tentativo di aumentare accountability e trasparenza dei principali attori sulla scena finanziaria, in realtà nulla ha a che vedere con esse, come evidenzia anche l’ex governatore della Fed Alan Blinder in un commento sul Wall Street Journal. L’emendamento sembra innocuo, dice Blinder: in definitiva, perché la Fed dovrebbe essere immune da revisione esterna della propria attività? Giusto, ma il punto è che la Fed non è priva di tali controlli e verifiche. Per dirla con Blinder, il presidente della Fed “non viaggia in jet privato né pasteggia a caviale”, oltre a doversi sottoporre ad audizioni parlamentari periodiche; i libri contabili della Fed sono già sottoposti a verifica da parte del GAO, che entra anche nella valutazione di importanti aspetti di operatività della Fed, come l’operazione AIG ed i salvataggi bancari, per fare un esempio di stretta attualità.

Il problema dell’emendamento Paul-Grayson risiede nel fatto che, in base ad esso, sarebbe direttamente la politica monetaria ad essere messa in discussione per opera del Congresso. L’esempio di Blinder è molto efficace, oltre che inquietante:

Con ogni probabilità, il prossimo anno la Fed inizierà il processo di uscita dall’attuale politica monetaria iper-espansionistica. E’ del tutto prevedibile che quando ciò accadrà qualcuno al Congresso non ne sarà contento, o forse ne sarà furioso. Saremmo contenti di una revisione della politica monetaria della Fed per opera del GAO, che membri del Congresso userebbero per intimidire, fors’anche minacciare, membri dell’organismo della Fed che fissa i tassi d’interesse? Ci piacerebbe vedere membri del FOMC chiamati a deporre davanti al Congresso per spiegare perché “stanno uccidendo posti di lavoro”?

L’iniziativa di Paul sortirebbe l’effetto opposto a quello dichiarato: una devastante politicizzazione della politica monetaria americana, la definitiva perdita di indipendenza da parte della Fed (già minata dalla natura duale del suo mandato, checché ne pensino alcuni nostrani detrattori a oltranza della Bce) ed il progressivo scivolamento della public policy americana verso connotazioni “sudamericane”. Sappiamo che Paul non è uno sprovveduto, ed il suo obiettivo programmatico è ben riassunto  dal titolo del suo recente libro, “End The Fed“, e non riusciamo a credere che non abbia valutato le unintended consequencies di tale azione.

Se l’obiettivo di abbattere una istituzione largamente imperfetta come la Fed, che Paul giudica poi pure “corrotta ed incostituzionale”, passa per una fase di caos e di ulteriore svilimento della moneta in una sorta di logica del “tanto peggio, tanto meglio”, il libertario texano potrebbe scoprire che la fase di transizione andrebbe ben oltre la sopravvivenza degli Stati Uniti come entità libera ed occidentale. Non vorremmo dover scoprire, tra qualche tempo, che il libertario Ron Paul è diventato l’idolo dei politici criptosocialisti italiani, quelli che odiano le “irresponsabili” tecnocrazie e vogliono tutto il potere nelle mani degli “unti dal popolo”.

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