La descrizione più efficace e probabilmente veritiera di quello che avevano in mente i tedeschi quando hanno deciso di sostenere il progetto di moneta unica europea è fornita dal professor Alessandro Penati in un commento su Repubblica.
Secondo Penati,
«La Germania ha voluto la moneta unica per sostenere l’ espansione della propria industria in un mercato vastissimo, sottraendo ai paesi confinanti l’arma della svalutazione competitiva. Per i paesi a minor competitività, il finanziamento dei disavanzi della bilancia dei pagamenti non sarebbe più stato un problema: avrebbero pagato l’export tedesco vendendo ai tedeschi il proprio debito. E per evitare abusi, la Germania ha voluto il tetto del 3% ai deficit pubblici. Così, dall’avvio dell’euro, i tedeschi hanno accumulato complessivamente un avanzo delle partite correnti da 1.200 miliardi di dollari; dal 2006, il 6,5% del Pil in media ogni anno»
Vista così, l’Unione Monetaria Europea non sarebbe altro che un gigantesco sistema di credito di fornitura (vendor financing), con la Germania e gli altri paesi europei esportatori netti che ritenevano di aver trovato un metodo per consolidare il proprio ruolo di produttori d’Europa, mentre i paesi del cosiddetto Club Med avrebbero avuto la parte di consumatori, con il limite del Patto di Stabilità e Crescita a garanzia della qualità del loro merito di credito.
Una sorta di “moto perpetuo” con cintura di sicurezza (e di castità) contro gli eccessi di consumismo e dissipatezza fiscale dei paesi mediterranei. Sfortunatamente, questa costruzione ha ignorato gli effetti del cumulo degli squilibri macroeconomici, al momento dell’innesco di un detonatore quale è stata la crisi finanziaria. Tutto è cominciato con il depotenziamento del patto di stabilità, nel 2004-2005, quando tutti i maggiori paesi europei hanno sforato la soglia magica del 3 per cento del rapporto deficit-Pil, e alla fine si sono accordati per ammorbidire modalità e tempistica di rientro.
Superata quella “crisi”, per qualche anno si è ritenuto di poter proseguire come nulla fosse: i tedeschi vendevano al mondo intero ed alla Ue, e di conseguenza accumulavano attività finanziarie; spagnoli, irlandesi, portoghesi e greci compravano a credito, vivendo al di sopra dei propri mezzi. I rating sovrani restavano confortevolmente elevati, le banche operanti nei paesi consumatori concedevano crediti che venivano in seguito cartolarizzati, liberando risorse in bilancio per ulteriori prestiti. Con la Grande Recessione il meccanismo si è brutalmente interrotto: al debito privato si è sostituito debito pubblico, mentre i saldi delle partite correnti non possono migliorare rapidamente a causa della presenza di una moneta unica, che impedisce l’aggiustamento. L’unica strada è quella di una dolorosa deflazione interna, che rilanci l’economia dei paesi consumatori facendoli diventare esportatori netti. Con evidente danno per la Germania, che vedrà inaridirsi i suoi mercati intraeuropei di sbocco.
Tutte le proposte lette e sentite sinora non hanno alcuna possibilità di concretizzarsi: non il sistema di debito pubblico europeo, né un Fondo Monetario Europeo, semplicemente perché non esiste alcuna volontà di cedere sovranità fiscale. Vista oggi, l’Unione monetaria europea appare destinata al fallimento, se non già fallita. Ma i costi della sua implosione sarebbero inimmaginabili. Anche per i rigorosi tedeschi che hanno fatto male, malissimo, i propri conti.