Fosse così semplice

Viviamo una strana epoca: pare che solo politici e banchieri centrali abbiano le idee confuse mentre commentatori, editorialisti e blogger sarebbero gli unici ad avere una visione affilata come la lama di un rasoio. Le cose non stanno ovviamente in questi termini.

Prendete il caso del mercato immobiliare americano: da più parti si invoca di “staccare la spina”, piantarla con proposte cervellotiche come il credito d’imposta per gli acquirenti della prima casa, o con tentativi di modificare i contratti di mutuo per salvare i debitori. Lasciamo che il mercato faccia il mercato, è la tesi “liquidazionista”: chi è sott’acqua perde la casa. Prima si tira una riga, prima si riparte.

Sarebbe anche giusto, ma si tende a dimenticare chi è sull’altra riva di questa nuova ondata di pignoramenti. Le banche, sempre le banche. Lo ricorda, molto opportunamente, Tyler Cowen. Come finirebbe? Istituti impiombati, o meglio insolventi. E poi? Nazionalizzazioni, nuovi  TARP con fondi pubblici? E’ proprio così, i prezzi delle case devono cadere ma non devono cadere. A volte basterebbe guardare al problema in modo sistemico.

E quindi? Quindi siamo appesi. Per la prossima vita (o era geologica) c’è solo da sperare che le banche vengano regolamentate in modo tale che anche gli obbligazionisti vengano fatti pagare per gli errori del management, ad esempio creando una qualche classe di debiti ibridi, tali cioè da trasformarsi in capitale azionario in caso di pericolo o di stress della banca. Oltre a sperare in regole di Basilea III adottate in tutto il pianeta e tali da avere i denti, per aumentare comunque la capitalizzazione delle banche.

Ammesso e non concesso di arrivare a questo esito, che porrebbe un cordone sanitario intorno a nuove avventure dei banchieri, bisognerà prima attraversare un deserto sconfinato. E armarsi di pazienza, oltre che di capacità di soffrire. Nel settembre 2008 è finito un mondo, e quello nuovo non è ancora emerso da acqua e fuoco.

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