Come avverrà l’uscita dall’euro

Per quale motivo un risparmiatore dovrebbe tenere i propri fondi in un banca irlandese, quando è possibile avere un conto denominato in euro in una banca tedesca o inglese? E’ quanto si chiede Tyler Cowen sul suo blog, giungendo alla conclusione che, se l’indebitata costruzione europea dovesse collassare, i cittadini dei singoli stati membri si ritroverebbero con in mano un euro che non sarebbe più un “vero” euro.

Come argomenta Cowen, nel momento in cui i depositi defluissero copiosi dall’Irlanda, le autorità di Dublino si troverebbero costrette a bloccare i movimenti di capitale, e questo a prescindere dai profili legali comunitari di una simile mossa. Fin qui, nulla di imprevedibile. Ma provate a pensarci: io posso chiudere un deposito denominato in euro a Dublino e convertire i miei fondi in dollari, depositandoli presso una filiale di banca statunitense fuori dall’Irlanda. In questo caso avremmo deflusso di depositi con conversione valutaria. Ma se io volessi chiudere il mio conto euro a Dublino per aprire un conto euro a Parigi e ciò mi fosse impedito, saremmo di fronte a quella che Cowen definisce “non convertibilità dell’euro” in altri euro, fuori dal paese coinvolto. Ecco quindi, secondo il ragionamento dell’economista statunitense, che avremmo degli euro che restano imprigionati entro i confini nazionali.

La moneta unica resterebbe tale solo per le caratteristiche grafiche comuni a tutti i paesi che la adottano, in definitiva. Non solo, vi sarebbe anche un ovvio effetto-contagio:

«Ipotizziamo che Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia siano i membri deboli dell’Eurozona. Una imminente corsa agli sportelli in uno di questo paesi potrebbe innescare la sospensione della convertibilità negli altri»

Dove, ribadiamolo, per sospensione di convertibilità si intendono controlli (o blocco) sulla fuoriuscita dei capitali da confini nazionali di paesi che adottano la stessa divisa, cioè la convertibilità da euro “irlandesi” (perché detenuti presso intermediari di quel paese) in euro ad esempio “tedeschi”, perché versati su conti detenuti presso intermediari di Berlino. Ecco ciò che differenzia euro e dollaro: Germania e Grecia non sono l’equivalente di Texas e California, perché in Eurolandia esistono ancora confini ed autorità nazionali.

Cowen poi ribadisce quanto da noi osservato tempo addietro: pensate che tutti (la parola chiave) questi paesi abbiano sufficiente forza per imporre ai propri cittadini continui tagli agli standard di vita, per ripagare integralmente i debiti? E oltre a ciò, pensate anche che questi stessi paesi, oltre al mantenimento ad oltranza di condizioni interne di “sangue, sudore e lacrime” dovranno restare costantemente credibili agli occhi dei creditori esteri, per tutta la durata del processo di risanamento, pena il deflusso di depositi dal paese.

Ecco perché Cowen non crede che l’attuale configurazione dell’Eurozona possa durare:

«Il collasso richiederebbe un solo anello debole della catena»

Cowen pare non capacitarsi del motivo per il quale i depositanti irlandesi non abbiano già migrato altrove i propri depositi, e giunge alla conclusione che tale vischiosità sarebbe frutto di “preferenze provinciali” che tendono a dare ad un sistema pensato per essere “cosmopolita” (Eurolandia) quell’inerzia che sta contribuendo a rinviare il redde rationem. Premesso che forse non tutti i depositanti irlandesi credono che il paese sia spacciato (forse perché ottimisti, o perché la diffusione di informazioni e la capacità di trattarle non è omogenea tra la popolazione), la scenario sull’implosione del sistema “dall’interno”, cioè per effetto della imposizione di controlli su movimenti di capitali denominati nella stessa valuta, merita attenzione ed approfondimento.

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