Il consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità, anche dopo pochi minuti già partivano i distinguo e le richieste, il DEF, documento di economia e finanza. Prima che il testo arrivi sulle pagine web del MEF, passerà del tempo. Possiamo tuttavia sin d’ora commentare i numeri cardine e le strategie ad essi sottostanti, in particolare riguardo al sostegno all’economia necessario per limitare i danni di questo ennesimo shock, destinato a durare per non breve tempo.
Il documento ha uno scenario principale con una crescita 2022 al 3,1%. Ci sono anche due simulazioni avverse relative all’avvitamento della crisi del gas. Il deficit tendenziale, cioè a legislazione invariata, scenderebbe quest’anno al 5,1%. Il governo decide di confermare invece il valore del 5,6% contenuto nella NaDEF, la nota di aggiornamento al DEF dello scorso settembre.
Mezzo punto di Pil
In tal modo, si “libera” mezzo punto di Pil di deficit, che è assai poca cosa, detto francamente, ma che rappresenta il margine di manovra in assenza di scostamenti di bilancio, cioè di nuovo deficit. Peraltro, circa metà di quei 9,5 miliardi andrà a ripristinare voci di spesa che erano state usate per la precedente manovra di alleggerimento dello shock energetico.
Il rapporto debito-Pil, nello scenario centrale, continuerebbe a scendere, dal 150,8% del 2021 al 146,8% di quest’anno, per poi arrivare al 141,4% del 2025, tra un’era geologica. Questa tendenza virtuosa si ottiene con una crescita nominale del 6% (che rischia di essere solo inflazione) e quella della spesa per interessi che resta stabile al 3,5%, in realtà risalendo rispetto al 2,9% previsto dalla NaDEF. Quindi, l’effetto “palla di neve” giocherebbe ancora a favore dell’Italia, sotto queste ipotesi. Che restano soggette a un fortissimo grado di incertezza.
Un caveat non da poco: il tendenziale non tiene conto di voci di spesa legate agli impegni internazionali italiani e ai rinnovi contrattuali del pubblico impiego. Queste coperture, secondo il governo, andranno trovate attraverso una revisione di spesa che produca “risparmi crescenti” nel tempo. Auguri sinceri.
Chiediamoci, sulla base di questi numeri essenziali, il perché di una manovra così minimalista e “austera” (per i canoni italiani) da parte del governo. Premesso che, in pochi mesi, l’esecutivo ha già fatto manovre di alleggerimento per 15 miliardi di euro mentre qualche guitto invocava “50 miliardi di scostamento, subito”, la risposta è che Mario Draghi è consapevole del fatto che il nostro paese ha perso il compratore determinante per il nostro debito pubblico: la Banca centrale europea.
Abbiamo perso il compratore di ultima istanza
In altri termini, siamo praticamente soli davanti ai mercati, cioè a chi compra il nostro debito. Per giunta in un momento di forti tensioni rialziste sui rendimenti, conseguenza dello shock energetico e dell’avvio della normalizzazione monetaria che vede la Bce in grave e crescente difficoltà, tentando di bilanciare lo shock di offerta e il rischio che le aspettative di inflazione finiscano disancorate o, detto in termini meno esoterici, che i compratori di titoli obbligazionari denominati in euro decidano di liberarsi di carta che scotta perché ha un rendimento reale sempre più negativo.
Draghi ora non vuole scostamenti, cioè deficit ulteriore, perché teme che i mercati si rivoltino contro l’Italia, innalzando in modo brutale il premio al rischio sul nostro paese. Se le cose stanno in questi termini, resta da capire in che modo finanziare le spese che certamente affioreranno se questa situazione dovesse proseguire.
Qui mi pare si trovi un “suggerimento” di quello che Draghi si attende, in caso la situazione precipitasse per l’intera Europa. Ad esempio, se si materializzassero i due scenari avversi disegnati nel DEF, con blocco totale delle importazioni energetiche dalla Russia e capacità di sostituirle solo parziale o nulla, anche prendendo in considerazione razionamenti energetici.
Nuovo debito Ue solo se la situazione precipita?
Ipotesi, quest’ultima che Draghi in conferenza stampa ha ancora rigettato, suggerendo che non sarebbe (ancora) tempo. Ma quel tempo potrebbe arrivare in autunno. A quel punto, cioè in un contesto di gravissima difficoltà subita da tutti i paesi della Ue, potrebbe riprendere corpo l’idea di nuove emissioni di debito comune.
Idea peraltro di assai difficile attuazione sul piano concettuale, perché occorrerebbe una “missione” da finanziare che non sia semplicemente il sostegno ai consumi in presenza di offerta amputata dallo shock energetico, perché di quello si tratta. Non di inventarsi un radioso futuro ambiental-digitale, come è stato per il PNRR.
I mercati, di fronte a nuovo euro-debito, si chiederebbero se il premio al rischio è corretto o non invece troppo basso, visto che quel debito andrà comunque ripagato.
I partiti italiani, la cui missione istituzionale è quella di chiedere più deficit perché questo è il mainstream culturale di questo paese, mai accetterebbero manovre in pareggio, in senso di minori spese e/o maggiori tasse. Operazioni che, peraltro, sarebbero tutto fuorché indolori, in una congiuntura del genere. Al solito, alcune cose vanno fatte in tempo di pace ma, a quel tempo, è una bestemmia solo pensarlo. Per tutto il resto, c’è la repubblica dei bonus pagati “dall’Europa” egoista.
Siamo soli, e fragili
Questa mi pare, quindi, la chiave di lettura del DEF di Draghi. Posso ovviamente sbagliarmi. Si cucina con gli ingredienti disponibili, che da noi di solito sono adulterati o avariati. Non so se, di fronte a ulteriore deterioramento dello scenario economico, gli altri paesi europei accetteranno di fare debito al solo fine di sostenere in via prevalente i consumi. Non vorrei che questo fosse un wishful thinking che proietta in Europa l’orientamento italiano al deficit taumaturgico.
Ma forse, di fronte a disordini di piazza e comparsa di nuove ondate di populismi corrosivi, anche i paesi più fiscalmente conservatori getteranno la spugna e accetteranno più deficit e debito. Per il momento, questa è la situazione: l’Italia non può andare da sola perché i suoi conti continuano a non essere in ordine, e siamo costretti a camminare su sentiero molto stretto.
Draghi ne è ovviamente consapevole, i partiti no. Una vera sorpresa. Non sarò io a negare la forte preoccupazione per l’ulteriore deterioramento della condizione sociale di un paese chiamato da una quindicina di anni a questa parte a rispondere di scelte di politica economica devianti e nodi che continuano a giungere al pettine.
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