Verso il gridlock

L’America si avvia alle elezioni di midterm, domani. Saranno consultazioni dall’esito scontato, e per questo motivo potremmo avere grandi sorprese. Se invece le cose andranno come previsto, avremo Nancy Pelosi sfrattata dalla poltrona di speaker della Camera ed i Repubblicani si avvicineranno al pareggio di seggi in Senato.

Storicamente, le situazioni di gridlock (la Casa Bianca ad un partito, le camere all’altro) sono state associate a periodi di sostanziale disciplina fiscale, la forma suprema del peso e contrappeso; qui da noi una simile situazione verrebbe vissuta malissimo, al grido di “lasciateci lavorare” e “cambiamo la costituzione che ci impedisce di governare, il popolo lo vuole”, ma sono piccoli dettagli provinciali, non divaghiamo.

Ma questa volta l’America vive una stagione molto complessa: non è una recessione congiunturale ma una crisi finanziaria, anche se in pochi dimostrano di averlo realmente capito. L’anima del paese è ancora convinta di essere l’unica potenza planetaria e per nulla declinante, malgrado i segni del contrario si stiano moltiplicando da anni. L’unica cosa che oggi conta, per la destra americana, è di sloggiare Barack Obama dalla Casa Bianca, rendendolo il presidente di un solo mandato. Ambizione del tutto legittima, ma nella congiuntura attuale servirà ben altro, dopo aver conseguito l’obiettivo di mezzo termine.

I Repubblicani stanno tentando di non farsi colonizzare dai Tea Parties, anche se vi sono evidenze secondo le quali questi ultimi non sarebbero esattamente un’invincibile armata. Secondo alcuni osservatori, l’establishment del GOP sarebbe agevolmente in grado di assimilare i nuovi arrivati, disinnescandone il presunto potenziale rivoluzionario. Resta da vedere quale sarà il destino di personaggi come Sarah Palin, la governatrice da mezzo mandato, che oggi tenta di mettere cappello e rossetto sul movimento antitasse.

I problemi sorgeranno quando apparirà evidente quello che molti sospettano: i Repubblicani non hanno alcuna intenzione di toccare i capitoli di spesa più onerosi, né riusciranno a chiudere la partita con il gigantismo patologico di Wall Street e delle sue onnipotenti banche. Al contrario, John Boehner, che potrebbe essere il prossimo speaker della Camera e che è l’indiscusso campione del Big Business americano (segnatamente di Wall Street), ha recentemente proposto un ritorno al livello ante-2008 della spesa discrezionale, circostanza che aggiungerebbe “soltanto” altri 105 miliardi di dollari all’attuale deficit federale di 1300 miliardi.

Impensabile, per gli standard del GOP (ma anche dei Dems, come dimostra l’ultimo bilancio-record del Pentagono) è poi ipotizzare tagli alle spese per la Difesa. Men che mai vagheggiare tagli agli entitlements del Medicare e della Social Security, la spesa non discrezionale difesa a spada tratta anche dai Tea Partiers, che hanno rapidamente imparato ad applicare alla finanza pubblica il paradigma-nimby. E quindi? La parola d’ordine restano i tagli delle tasse, visti come la panacea che magicamente si ripaga con maggiori livelli di attività (e sappiamo da tempo che non è vero, per dati empirici e manifesta ammissione di economisti non certo liberal come Greg N.Mankiw).

Ci sono quindi tutti i presupposti per uno stallo che non solo impedirà di tentare il risanamento fiscale del paese, ma che potrebbe definitivamente mandarne in malora i conti, visto che il GOP che abbiamo di fronte è ancora quello bushiano (o meglio, è Bush che era un prodotto tipico di questa epoca del GOP): un partito fintamente falco fiscale ma in realtà keynesiano degenerato, legato ai riti voodoo della curva di Laffer e che non riesce a mandare in pareggio il bilancio federale neppure in tempi di espansione. Su tutto, l’impossibilità di veicolare un messaggio “carteriano” di risanamento equiparato a sacrifici, che il culto dell’eccezionalismo americano e del suo motto “We Deserve” impedisce a qualsiasi candidato a cariche elettive; ed il trionfo degli interessi corporativi, che hanno ormai definitivamente assoggettato la politica americana.

Per tutti questi motivi l’America che uscirà da questo Midterm potrebbe essere un agente di ulteriore destabilizzazione economica globale.

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