Per essere coerente e conseguente con la chiamata alle armi del Dal Verme, Giuliano Ferrara riprende e rafforza dalle colonne del Giornale le recenti accuse di neghittosità rivolte a Giulio Tremonti. La cosa non stupisce: il berlusconismo è una rivoluzione e, come tale, ha un’elevata propensione a mangiare i propri figli, fino all’implosione finale.
“Vogliamo vedere il Berlusconi del ’94!“, gridava ieri Falstaff Ferrara, tentando di evocare quella che in realtà non è stata una stagione politica troppo breve ed interrotta dalle Oscure Forze della Conservazione ma una collezione di slogan ed una riuscita strategia di comunicazione e marketing. Tanto riuscita che, a distanza di diciassette anni, siamo ancora qui a parlarne ed analizzarla, mentre il mondo da allora è cambiato più e più volte. Il fatto che gli italiani (praticando diligentemente la regola dell’alternanza) abbiano mandato Berlusconi da allora a Palazzo Chigi altre due volte si può leggere in più modi, non necessariamente escludentisi.
Può essere conferma della incapacità dello schieramento progressista a guidare il paese. Così come può essere sintomo dell’incultura politica degli italiani, che si ostinano a credere alla pentola piena di monete d’oro alla fine dell’arcobaleno e quindi sarebbero definibili, a maggioranza dei votanti, nel modo in cui Berlusconi stesso apostrofò gli elettori del centrosinistra. Anche se privilegeremmo la prima spiegazione proprio per sfuggire ad accuse di superiorità morale e moralistica, non ci sfugge il fatto che la propaganda mediatica berlusconiana, in questi quasi vent’anni, si è progressivamente irrobustita ed incattivita ed ha compiuto l’ennesima mutazione, avendo ormai integrato l’informazione liturgica da desco serale (col minzolinismo) col fecondo filone dell’infogossip plasticamente rappresentato da Alfonso Signorini. Abuso di suggestione dominante?
Si diceva di Ferrara, e soprattutto di Tremonti. La cui colpa è quella di trascinare i piedi nell’accodarsi alla “parata del drizzone” andata in scena a Palazzo Chigi in settimana. Già giorni addietro il Foglio ha rimproverato a Tremonti di non voler disporre creativamente delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale. Anche in questo caso, gli occhi più disincantati avranno colto l’ennesima similitudine con l’ultimo governo di Romano Prodi, quello dell’infame “tesoretto”. Il gettito è insufficiente a reggere il passo con la spesa e quindi ci si volge alla lotta all’evasione, ambito in cui Tremonti si sta dimostrando più “efficace” di Vincenzo Visco, anche se molto spesso anche assai meno liberale e garantista. Perché Tremonti non si impegna di più, vi chiederete? Forse perché (azzardiamo) è consapevole del fatto che il gettito non sta riprendendo spontaneamente ed occorre quindi tenersi stretto ogni euro, stante l’incapacità ormai genetica a ridurre la spesa?
Poi c’è l’Europa, croce e delizia della nostra destra. Che Tremonti, rinsavito dopo gli anni della contestazione ideologica alla Ue (quella della mancanza della banconota da un euro per risolvere i nostri problemi di inflazione e mancata crescita), desideri attendere gli esiti del vertice europeo del mese prossimo, dal quale potrebbe uscire una randellata epocale per il nostro paese (ma non accadrà, lo ripetiamo), pare del tutto comprensibile. E peraltro, che c’entra Tremonti con l’impulso a legislazioni che liberalizzino le libere professioni e promuovano la concorrenza continua a sfuggirci. Tremonti è il guardiano della contabilità, non il leader politico di una coalizione. Berlusconi ha avuto innumerevoli anni (pressoché tutto il decennio che ci siamo appena lasciati alle spalle) per agire in senso liberalizzatore, ma ciò avrebbe causato danni irreparabili alla sua strategia di coalition building corporativa.
La tattica di attaccare Tremonti per indurlo a sconfessare quello che Ferrara stesso e tutta la destra mediatica da anni elogia acriticamente (aver tenuto i conti pubblici sotto apparente controllo) è contraddittoria in radice ma non ci stupisce, perché il berlusconismo vive da sempre di contraddizioni e di ricerca di quello che abbiamo più volte definito l'”agente ostruente esterno”, cioè la scheggia di Male che di volta in volta si frappone tra Berlusconi ed il conseguimento della Felicità per tutto il Popolo. E quindi, questo agente ostruente esterno deve essere “trattato” e “neutralizzato”, si chiami esso Casini, Follini, Fini, Mesiano, Boffo o Tremonti. E domani magari Feltri, chissà.
Per ora ci si limita ad instillare nell’assai predisposto lettorato de il Giornale il sospetto che l’approccio “patrimonialista” non sia esclusiva della sinistra ma appartenga anche allo stesso Tremonti, sospettato di stare “ammiccando”
(…) «al fatto che ci vorrà un’altra stangata e forse, perché no?, un prelievo sul patrimonio mobiliare»
con buona pace del puntiglio di cui proprio il giornale di Ferrara ha dato prova di recente per allontanare il sospetto che soggetti vicini a Tremonti stessero ponendo le basi ideologiche per un prelievo straordinario sui risparmi degli italiani. Circostanza che fa sorgere il sospetto che Ferrara stia diventando sempre più phastidioso, se ci passate la battuta.
La realtà è altra: la scenografia è ormai irrimediabilmente squarciata, il Mago di Oz è nudo e ce l’ha pure incredibilmente piccolo. Siamo al triste epilogo del berlusconismo, malattia senile della non meno malata democrazia italiana, di cui l’attuale opposizione è agente eziologico a tutti gli effetti. E se persino il vostro titolare si trova oggi costretto a difendere Tremonti, siamo davvero alle comiche finali.