Il selloff azionario di lunedì scorso, causato dal negative watch di S&P sul debito sovrano statunitense, è un ammonimento ed una prova generale di quanto potrebbe accadere in assenza di risanamento fiscale. Ma questa volta lo shock è stato rapidamente riassorbito dalla forte crescita di utili annunciata dalle società quotate.
La percezione è che i governi dei paesi sviluppati si decideranno ad agire solo quando si troveranno con le spalle al muro, e sotto la minaccia di eventi catastrofici, cioè dalla volontà degli investitori esteri di non continuare a sottoscrivere debito senza contropartite tangibili di risanamento. Il Regno Unito sta agendo in questa direzione ben più rapidamente degli Stati Uniti perché ritiene di non avere alternative, e non intende diventare la prossima Grecia, anche se ha il cambio liberamente fluttuante. Discorso quasi analogo per Spagna e municipalità statunitensi. Il Giappone non sta facendo nulla di significativo perché dispone ancora di una amplissima base domestica di sottoscrittori di titoli di stato. Ma la resa dei conti, per tutti, arriverà.
Negli Stati Uniti, il fallimento del negoziato per alzare il tetto del debito federale produrrebbe l’effetto perverso di un deterioramento della percezione del credito pubblico, segnalando la totale incapacità di raggiungere un compromesso sui necessari aumenti di tasse e tagli di spesa (essendo necessari entrambi gli interventi) rispetto agli elevati costi economici di un default tecnico degli Stati Uniti. La probabilità di ritardi nel pagamento della cedola su un Treasury, anche solo di pochi giorni, è estremamente ridotta. Ma questo rischio avrebbe con tutta probabilità serie conseguenze, inclusi deflussi dai fondi monetari e una gelata sul mercato dei repo, riecheggiando l’impatto sistemico del default di Lehman. Proprio come la domanda estera per le Agencies crollò dopo che Freddie Mac e Fannie Mae furono nazionalizzate, così la richiesta estera di Treasuries potrebbe diminuire, spingendone al rialzo i rendimenti. Nel complesso, il timore di turbolenze sul tetto del debito Usa potrebbe indurre un aumento delle posizioni in cash, domestiche ed estere, per le prossime settimane.
I timori fiscali continuano a pesare sul comparto del reddito fisso: sia negli Stati Uniti, per i motivi sopra citati, che in area euro. Qui, i problemi della periferia sono ancora molto acuti, con i bond greci che in settimana hanno raggiunto un nuovo prezzo minimo, intorno al 65 per cento del nominale, per le continue voci di prossima ristrutturazione del debito sovrano. In settimana, anche gli spread di Spagna ed Italia si sono ampliati in parallelo alle nuove tensioni.
Sul mercato azionario, dopo che circa 100 società dell’indice S&P 500 hanno finora riportato i conti trimestrali, la reporting season del primo trimestre pare avviata a realizzare l’ennesima sorpresa positiva (di circa il 4 per cento) sugli utili per azione, con andamento positivo anche riguardo la crescita dei fatturati. Malgrado ciò, l’indice è poco variato dall’inizio del mese, mentre settori difensivi come l’healthcare sono i migliori in termini di performance, verosimilmente perché negli investitori sta crescendo un atteggiamento di cautela sui ciclici, a causa del maggior prezzo del greggio e dei problemi legati alla catena di fornitura giapponese, e dopo le revisioni al ribasso della crescita prevista per il secondo trimestre. Sui ciclici pesano inoltre indicatori prospettici quali la riduzione del rapporto tra nuovi ordini e scorte e la flessione dell’indice dei direttori acquisti di imprese manifatturiere (PMI).
Nel comparto dei crediti, le discussioni sulla possibile ristrutturazione di debiti sovrani stanno creando pressioni sui bond del settore bancario europeo. Ogni annuncio di ristrutturazione implicherebbe l’inevitabile riconoscimento di perdite da parte delle banche, anche se i bond si trovassero nel book di titoli detenuti fino a scadenza, che tendono quindi ad essere valutati alla pari. Negli Stati Uniti, le tensioni sui Treasury relative al tetto al debito federale (eventualmente rinforzate dai maggiori prezzi del greggio e dalla riduzione della crescita prevista per il secondo trimestre) potranno determinare un aumento di volatilità che non potrebbe non riflettersi sugli spread dei corporate bond.
Sul mercato dei cambi, il collasso del dollaro al nuovo minimo da 18 anni (ponderato per i flussi commerciali), è destinato ad attirare crescente attenzione nelle settimane a venire. Gli indicatori di volatilità implicita nei cambi sono in crescita, a differenza di quanto finora accaduto per i mercati azionari e dei tassi d’interesse. Le posizioni corte su dollaro contro euro (e franco svizzero) continuano ad avere senso, ma il rischio di uno scoppio di volatilità induce a mantenerle non particolarmente ampie.
Riguardo le materie prime, la tendenza rialzista di lungo termine poggia su tre fattori: forte crescita della domanda, al proseguire dell’espansione globale; condizioni di offerta strette; sostenuto periodo di indebolimento del dollaro. L’elevato prezzo del greggio appare al momento la maggiore minaccia alla ripresa globale, mentre non è chiaro se l’Arabia Saudita disponga effettivamente di capacità di riserva. Propenderemmo per una risposta negativa, visto il trend estrattivo calante dal 2005 e la recente decisione del governo di investire 100 miliardi di dollari in energie rinnovabili, verosimilmente per destinare ad export parte della produzione domestica. Gli elevati prezzi delle materie prime agricole hanno peggiorato la stabilità sociale in Medio Oriente ed in alcuni paesi africani, e ciò per molti versi è alla base shock di offerta di greggio, come anche alle crescenti aspettative inflazionistiche.