Macromonitor – 15/5/2011

I mercati continuano ad essere colpiti da una serie di pericoli (debolezza del consumatore americano, crisi infinita dell’euro-periferia, vincoli all’offerta di materie prime, stretta monetaria delle banche centrali dei paesi emergenti, per citarne solo alcune). La rinnovata incertezza ha spinto gli investitori a ridurre le posizioni, causando brusche inversioni a dollaro e materie prime.

Il secondo trimestre appare problematico, per gli asset rischiosi. La crescita statunitense potrebbe essere frenata dal più debole andamento delle vendite di auto e da quello delle richieste di sussidi di disoccupazione, mentre il consenso prevalente tra gli analisti è ancora in direzione di materie prime in robusta crescita in corso d’anno, visti i dati fondamentali di ancora forte domanda e offerta vincolata. La crisi di debito sovrano in area euro è lungi dalla soluzione, mentre voci di ristrutturazione del debito greco si fanno di giorno in giorno più forti. Malgrado questi elementi avversi, non bisogna dimenticare la costante di questi mercati: condizioni monetarie molto lasche, in cui il rendimento della liquidità e il ritorno dei titoli di stato più sicuri tende a zero. Considerato che le famiglie, soprattuto negli Stati Uniti e nel Regno Unito, resteranno per anni impegnate a ridurre lo stock di debito e che l’inflazione non appare al momento una minaccia, è realistico ipotizzare che condizioni monetarie non restrittive resteranno come costante nel quadro di mercato, malgrado l’apparente normalizzazione (che è cosa ben diversa da una stretta) promossa dalla Banca centrale europea.

Settimana di scarse variazioni nel reddito fisso, dopo una serie di notizie divergenti. I Bund hanno ben performato, malgrado la forza dell’economia tedesca, circostanza che potrebbe accelerare il passo della Bce nell’aumento dei tassi ufficiali. Negli Stati Uniti, la fine della seconda tornata di easing quantitativo e il volume di nuove emissioni suggeriscono cautela, soprattutto sulla parte lunga della curva. I prezzi dei bond hanno storicamente mostrato un’affidabile correlazione negativa con le materie prime, più pronunciata in anni recenti. Il rallentamento congiunturale dovrebbe quindi spingere al ribasso sia le materie prime che i rendimenti reali. Persistenti sorprese negative dal versante dell’inflazione suggeriscono più elevati breakeven inflation rates, ma le prospettive più volatili delle materie prime non consentono scommesse significative sul quadro dei prezzi.

I bond emergenti in valuta locale stanno beneficiando di un aumento degli afflussi di fondi, dopo la debolezza del primo trimestre. Nel complesso, le banche centrali dei paesi emergenti hanno rimosso meno di un terzo dell’espansione monetaria attuata dopo il crollo di Lehman, ma la stretta è integrata dal rafforzamento del cambio e da misure quantitative ed amministrative.

I mercati azionari continuano ad oscillare entro il corridoio degli ultimi tre mesi, bloccati da forze contrastanti. Dal lato positivo, l’ottimo andamento della reporting season statunitense del primo trimestre, che ha confermato ancora una volta la forte capacità di generazione di utili del settore aziendale e rafforzato l’attrattività dell’investimento azionario sul piano delle valutazioni. Tra gli elementi negativi, per contro, restano i timori di un hard landing cinese, quelli per la ristrutturazione del debito greco e dati macroeconomici in rallentamento. Al momento l’investimento azionario ha mostrato poche riduzioni di posizioni tra i gestori, a differenza di quanto accaduto a dollaro e materie prime, ma se l’incertezza dovesse perdurare non si escludono movimenti correttivi ribassisti di maggiore ampiezza.

Riguardo i prodotti a spread, l’ininterrotto flusso di notizie negative dalla Grecia sta mettendo pressione ai corporate europei, che questa settimana hanno visto un allargamento rispetto a quelli statunitensi. Dal versante positivo restano i dati di crescita, che mostrano un’espansione che va al di là della sola Germania. Ancora positive le prospettive per gli High Yield, che godono di un mercato primario ancora sostenuto ma ben accolto dagli investitori, e da tassi di default ancora notevolmente più bassi della media storica. Gli spread sono storicamente ancora piuttosto elevati negli Stati Uniti più che in Europa.

Sul mercato dei cambi, anche senza considerare la stagionalità sfavorevole di maggio, il periodo appare incline a elevata volatilità e riduzione delle posizioni a leva, che avevano portato a valutazioni estreme nel mese di aprile. Lo scoppio di volatilità che ha rafforzato il dollaro (di cui abbiamo parlato la settimana scorsa) è avvenuto ma non ha avuto genesi nello stallo dei negoziati sul tetto di debito federale americano quanto dalla situazione di Grecia e Cina. Le posizioni corte sul dollaro appaiono tuttavia ancora consistenti, circostanza che potrebbe accentuare il rally della divisa statunitense, ove la volatilità dovesse permanere.

Malgrado il rafforzamento del dollaro, le materie prime recuperano in settimana circa il 2 per cento, guidate dal petrolio. I maggiori  mercati delle materie prime restano sotto-riforniti, soprattutto quello petrolifero, che risente della combinazione di stagionalità e di un’offerta Opec piuttosto limitata, non avendo finora completamente compensato il vuoto di produzione libica. I livelli di scorte, fuori dal collo di bottiglia americano di Cushing, sono prossimi ai minimi quinquennali, ulteriore elemento di positività prospettica potenziale sui prezzi. Le materie prime agricole hanno corretto di circa il 15 per cento dai picchi di inizio aprile. Alla base della correzione, oltre al ribilanciamento di posizioni degli investitori vi è l’annuncio del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, che prevede un aumento dell’offerta di grani per il prossimo raccolto, e l’attesa di una ripresa delle esportazioni russe.

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