Gli incentivi di Sergio Iacocca

Su noiseFromAmerika, un interessante post di Aldo Rustichini illustra il gioco delle tre tavolette utilizzato da Sergio Marchionne per “ripagare” gli aiuti pubblici che hanno consentito a Fiat l’acquisizione di Chrysler.

Dopo aver premesso che non tutti gli aiuti erogati dagli ultimi due governi statunitensi sono stati recuperati (e alcuni mai lo saranno, qui un altro fact checking sulle minusvalenze definitive dell’operazione), Rustichini spiega come Marchionne ha recuperato le risorse per acquisire l’ultima tranche di Chrysler:

L’accordo per il salvataggio della Chrysler prevedeva una Incremental Call Option per la FIAT, cioè una opzione che permette alla FIAT di comprare il 16 per cento delle azioni Chrysler a un prezzo ridotto (500 milioni per 98461 azioni, 5.078 dollari ad azione). È una ghiotta opportunità, pagata dal ”pubblico americano” che si accolla il costo del prezzo ridotto. Però per esercitare l’opzione la FIAT aveva bisogno di 3,5 miliardi da pagare al tesoro americano, che non aveva. Dove li ha trovati i soldi per pagare il saldo? La FIAT aveva difficoltà a trovare finanziamenti, perciò il provvidenziale Dipartimento dell’Energia (DoE) americano ha promesso un prestito per facilitare lo sviluppo di un veicolo efficiente. Per una fortunata coincidenza il valore del prestito del DoE è appunto 3,5 miliardi, pagati dal ”pubblico americano”, che così presta alla FIAT-Chrysler i soldi che poi FIAT-Chrysler usa per pagare al pubblico quello che il pubblico aveva anticipato.

Alcune considerazioni. L’economia ci insegna che l’essere umano risponde ad incentivi. Marchionne è un essere umano, fino a prova contraria, quindi non esiste motivo per criticare o criminalizzare la sua azione. Molti più motivi ci sono, invece, per stigmatizzare quando il Nostro tende a “dimenticare” i particolari, come andare in giro con il pin con la scritta Paid attaccato al maglioncino. Perché qui, di paid, non c’è molto.

Quanto al resto: con la crisi, il settore automotive americano necessitava di un robusto taglio di capacità produttiva e Obama ha gestito questo intervento evitando che fosse la selezione naturale a farlo al posto suo. Anche il compassionate conservative GWB aveva iniziato a fare lo stesso, sia chiaro a tutti quelli che pensano che (solo) Obama sia un socialista. L’operazione Chrysler ricorda molto quella Alitalia, in fondo.

In Italia, Marchionne è impegnato in una serie di bracci di ferro, con sindacati e Confindustria, che sembrano soprattutto strumentali al disimpegno di Fiat dal nostro paese. E’ vero che esiste un elevato rischio che i giudici del lavoro rimettano in sella la Fiom anche nelle newco, ma è altresì vero che Fiat dista circa un milione di auto dalla produzione-target prevista per il 2014, pari a 1,65 milioni di veicoli (quest’anno siamo a circa 600.000), target che appare comunque irrealistico. E’ nato prima l’uovo o la gallina? Fiat non investe perché l’ambiente italiano è ostile o l’ambiente italiano è ostile perché Fiat gioca a nascondino?

E peraltro, non si dimentichi che Chrysler ha fatto finora un (piccolo) utile grazie soprattutto alla spinta derivante dal canale fleet, quello dei noleggi e delle flotte aziendali, e che gli ultimi dati americani mostrano una certa stanchezza nella “ripresa” di un mercato dell’auto che comunque non è mai tornato ai livelli pre-crisi, e forse non poteva essere altrimenti.

Quindi, come concludere? Che Marchionne ha seguito l’opportunità di sontuosi soldi pubblici per creare un reverse takeover (Fiat “compra” Chrysler, per poi sparire dentro essa), e realizzare lo spin-off dell’automotive italiano (con somma gioia dell’accomandita di famiglia); da qui in avanti il suo compito sarà quello di dare copertura “ideologica” al processo di ridimensionamento della produzione italiana del gruppo. Ribadiamolo: non c’è nulla di indecente in tutto ciò, basta solo chiamare le cose col loro nome e non creare leggende dove semplicemente non esistono. Se poi, partendo da un’operazione molto italiana nata in terra americana, Marchionne riuscirà a far prosperare Chrysler, gli faremo sinceri complimenti. Per il momento, viva Ford.

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