Ancora sullo scandaloso 7 per cento

Ipotizzate di essere alla guida di una struttura pubblica che gestisce un acquedotto. Dovete ammodernare la rete, che fa acqua da tutte le parti, e pare che la natura sia sufficientemente matrigna da non darci i tubi gratis, malgrado la gioiosa Nuova Era in cui ci siamo improvvisamente risvegliati. Purtroppo, il comune che controlla la vostra struttura non ha il becco di un quattrino, e siete quindi costretti a rivolgervi alle banche.

Le quali banche sono piuttosto riluttanti a concedervi credito, visto che il vostro comune è già pesantemente indebitato. Alla fine, dopo molti tentennamenti, le banche accettano. Richiedete un fido di durata quindicennale. Il tasso IRS a quindici anni è oggi al 3,7 per cento, ma su di esso le banche caricano altri due punti, per scontare la rischiosità dell’emittente e le generali condizioni di mercato, per cui l’accordo si chiude al 5,7 per cento. Siete soddisfatti, perché sapete che porterete in bolletta una remunerazione del 7 per cento sul capitale investito. Poiché tutti i vostri investimenti sono finanziati a debito, il cui costo (5,7 per cento) è inferiore alla remunerazione massima prevista dalla legge, a fine esercizio riuscite anche a chiudere con un lieve saldo positivo, che girerete al comune.

Però siete carichi di debito, che è garantito dal vostro comune, che a sua volta non riesce più a quadrare i conti, tale è il volume di interessi passivi sul debito che si trova a dover fronteggiare ogni anno, al punto che si è deciso di tagliare sempre più servizi di welfare alle famiglie.

La storia potrebbe proseguire: la struttura gestionale potrebbe trasformarsi in spa, fare entrare i privati al 49 per cento, quotarsi in borsa. Fa poca differenza. Quello che dovreste riuscire a capire è che quel famigerato 7 per cento non è un rendimento netto, men che mai garantito, ma è la stima di quanto costa acquisire i capitali per investire nell’acquedotto. Per questo, leggere di “rendimento garantito del 7 per cento senza rischio”, oppure di confronti con il rendimento dei titoli di stato è una corbelleria senza senso. Perché questa remunerazione non è un regalo ma semplicemente una stima, per quanto imprecisa (oltretutto massima), di quanto costa acquisire i capitali (propri o altrui, cioè equity o debito) per effettuare gli investimenti.

Non c’è nessun guadagno garantito “a prescindere”. Certo, serve un controllo sulla effettuazione degli investimenti, ma questa non è una motivazione per gettare via l‘acqua sporca col bambino, anche in un paese ridicolo come questo. Votate si al referendum sulla tariffa ed eliminerete non la tariffa, che continuerà ad esistere finché una legge non rimuoverà il principio del full cost recovery. Eliminerete solamente il principio della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Non si chamerà più tariffa? La si chiamerà Giovanna, Claudia o come vorrete voi. Ma per fare investimenti quei soldi da qualche parte dovranno uscire. Provate ad immaginare in che modo.

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