In una intervista al Corriere, il cosiddetto responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, si pavoneggia asserendo che il governo avrebbe “saccheggiato” a piene mani il programma fiscale Democratico in relazione alla manovrona pluriennale che sarà presentata a giorni. Contento lui.
Fassina rilancia la proposta 20-20-20, cioè un’aliquota del 20 per cento sul risparmio (che ovviamente questi signori hanno preso ormai in modo bipartisan a chiamare “rendite”), sul primo scaglione Irpef e sull’Ires. Ma poi lo stesso Fassina ammette che tutto dipenderà dalla eventuale rimodulazione di detrazioni e deduzioni, perché non conta l’aliquota d’imposta formale (quella che gli anglosassoni definiscono statutory rate) bensì quella effettiva. E fin qui, nulla da obiettare. E’ verissimo che il diavolo si cela nei particolari.
Fassina però prosegue specificando che il suo partito è contrario alla patrimoniale, preferendole di gran lunga l’innalzamento al mitologico “livello europeo” della tassazione dei redditi da capitale e delle solite “rendite finanziarie”. Quello che Fassina non dice, perché soffocato dalla malafede o dall’ignoranza, è che il gettito tra le due imposizioni non è neppure lontanamente comparabile, per dimensioni e (soprattutto) stabilità al ciclo economico. Se troverà conferma l’ipotesi di una cedolare secca al 20 per cento sui redditi da capitale con eccezione dei titoli di stato, avremo un gettito aggiuntivo ottimisticamente stimato nell’ordine di 1,5 miliardi di euro annui. Oltre a determinare quella che gli anglosassoni chiamano financial repression, cioè la distorsione dei flussi allocativi di capitale indotta per via legislativa, che andrà a premiare i deficit pubblici e a penalizzare il settore privato.
Il tutto dimenticando che, quando i mercati scenderanno, la tassazione dei capital gains, che è indissolubilmente legata alla tassazione di interessi e dividendi, si trasformerà in credito d’imposta, e addio al miliardo e mezzo di agognato gettito. Ma questi sono dettagli, per i cleptocrati che ci governano in un’unica struttura clanistica fintamente distinta in una cosa chiamata maggioranza ed un’altra di nome opposizione. Il tutto con la benedizione di Confindustria e della sua risolutissima presidentessa, che si è convinta di poter utilizzare questa sconcezza per ottenere punti-premio nel dialogo con l’altra centrale oligarchica in avanzato stato di decomposizione, chiamata sindacato.
E già all’orizzonte si staglia l’ipotesi di un “tagliando” per un federalismo comunale che nemmeno ha visto la luce e già sta causando effetti perversi e distorsivi (come da noi reiteratamente segnalato), oltre ad un’esplosione di gabelle locali che uccideranno definitivamente i consumi secondo una traiettoria “greca”. Ora le levatrici di questo parto dell’analfabetismo leghista hanno scoperto che la tassazione esclusiva delle seconde case crea gravi problemi. L’ammissione è dell’ineffabile Luca Antonini, presidente della commissione paritetica per l’attuazione della riforma federalista. Cioè di quello stesso personaggio che mesi addietro sosteneva a spada tratta questa struttura di fiscalità, e che oggi premette di non voler entrare nei “nodi politici”, ma di parlare esclusivamente “sul piano tecnico”. Si scopre cioè, improvvisamente, che l’abolizione dell’Ici sulla prima casa è stata la madre di tutte le idiozie, visto che ha privato la nascente riforma di un’architrave di gettito che gioca (e giocava anche in passato) un ruolo decisivo per il finanziamento degli enti locali.
In attesa della reintroduzione dell’Ici sulla prima casa, ridenominata in Imu (e che qualcuno vada a chiederne conto a Bossi e Calderoli), sarà opportuno ricordare che, in queste manovre, vi è un unico obiettivo: la massimizzazione del gettito. A causa delle condizioni pre-fallimentari della finanza pubblica del paese, scordatevi ogni ipotesi di “sgravi”, “agevolazioni”, “riequilibri” ed altre amenità del genere. Ricordate l’equiparazione tra uomini e donne dell’età pensionabile nel pubblico impiego, imposta dalla Ue? All’epoca vennero a dirvi che i risparmi sarebbero stati destinati al welfare femminile, asili nido e quant’altro. Non era vero nulla, ovviamente: tutti i risparmi vanno ed andranno a colmare i buchi che si aprono con frequenza pressoché mensile nei conti pubblici. Lo stesso accadrà per l’elevamento a 65 anni dell’età pensionabile delle dipendenti private.
Smettete di credere ai sogni, e soprattutto a quanto vi dicono tutti questi signori, che stanno operosamente fottendo un intero paese, come direbbe l’Economist.