Settimana contraddittoria sui mercati. Dati macro non positivi ma rally delle asset class rischiose, con corrispondente arretramento dell’obbligazionario. Forse si tratta solo di neutralizzazione delle posizioni, causata dalla forte e crescente incertezza.
Per la prosecuzione del movimento visto in settimana occorre tuttavia che si confermino motivazioni fondamentali sottostanti al rally degli attivi rischiosi, circostanza che al momento non si vede.
L’attenzione degli investitori resta centrata su tre rischi che hanno finora colpito i mercati: recessione, crisi dell’eurozona ed inflazione dei paesi emergenti. Nessuno di questi al momento mostra segni di recedere. Riguardo i rischi recessivi, i dati di agosto mostrano un livello di attività piuttosto debole ma non il collasso da molti paventato. L’economia statunitense, il mese scorso, ha evidenziato una crescita zero nell’occupazione, un piccolo calo nelle vendite al dettaglio espresse in termini reali ma una discreta ripresa della manifattura. Il maggiore rischio per l’economia americana proviene dall’effetto restrittivo per l’1,75% che la politica fiscale è attesa esercitare sul Pil a partire dal prossimo gennaio. Il pacchetto di misure a supporto dell’occupazione, presentato da Obama giorni addietro, dovrebbe compensare questa stretta, ma le probabilità che il Congresso recepisca la totalità delle misure richieste appare molto bassa.
In area euro, lo stress di finanziamento per banche e sovrani periferici non si attenua, ed è in realtà peggiorato in settimana. L’affidamento delle banche sulla Bce è cresciuto questa settimana di ulteriori 27 miliardi di euro. I mercati hanno accolto positivamente l’offerta della Bce di finanziamenti in dollari su base trimestrale, a partire dal mese prossimo, anche se questa è tutto fuorché una buona notizia. Lo scenario resta di elevata incertezza e potrebbe ulteriormente peggiorare, prima che vengano finalmente assunte iniziative che impediscano la disintegrazione dell’eurozona.
Riguardo l’inflazione dei paesi emergenti, attesa in imminente ripiegamento, le notizie restano negative. La sospensione della stretta monetaria da parte di un certo numero di banche centrali sudamericane e dell’Europa centro-orientale si è scontrata con dati di inflazione ancora in tensione, penalizzando il cambio di questi paesi.
Sul reddito fisso, si registrano perdite che compensano i guadagni della scorsa settimana. Le espressioni di sostegno franco-tedesche nei confronti della Grecia, le nuove linee di credito in dollari della Bce e l’ipotesi di ulteriori azioni di policy (quali un aumento della dotazione dell’EFSF) hanno temporaneamente rasserenato gli animi, stabilizzando gli spread dell’eurozona. L’esperienza delle passate strette fiscali suggerisce tuttavia seri rischi al ribasso nelle stime di crescita ufficiali, soprattutto per Grecia ed Irlanda.
Sui mercati azionari si è verificato, come detto, un robusto rimbalzo, che tuttavia non ha violato il corridoio di oscillazione in essere da metà agosto. Restano tutti gli elementi di prudenza evidenziati, quali mancanza di dati macro positivi, scarsa reattività dei policymakers in Europa su tutti. Sui mercati emergenti, i paesi dell’Asean sono preferiti ai BRIC, grazie a migliori dati di inflazione, valute forti e crescita salutare.
Sui mercati del credito si registra una certa stabilizzazione, dopo il supporto espresso a favore della Grecia da Francia e Germania e l’annuncio delle linee di credito in dollari dalla Bce.
Sul mercato dei cambi, il dollaro resta più debole di quanto ci si attenderebbe dato l’attuale contesto di mercato, fatto di volatilità e periodici scoppi di avversione al rischio. In parte ciò deriva dalla scelta delle banche centrali emergenti di riciclare i propri surplus commerciali in valute diverse dal dollaro. La valuta statunitense dovrebbe comunque essere posizionata su un trend discendente, dato lo scenario di una politica monetaria di tassi molto bassi. A tale scenario di debolezza del biglietto verde va tuttavia incorporato il rischio di disintegrazione dell’eurozona e quello di una recessione globale conclamata, che tende ad alzare la volatilità e sostenere il dollaro, pur al netto di riposizionamenti nella gestione delle riserve da parte delle banche centrali emergenti.
Le materie prime restano invariate in settimana, con buoni guadagni del petrolio compensati da perdite di oro ed agricoltura; metalli base invariati. Mercati petroliferi ancora più stretti, con curve futures in pesante inversione (backwardation), soprattutto sul Brent. Problemi di produzione nel Mare del Nord e mancanza di chiarezza sulla data di ripresa della produzione libica stanno sostenendo i prezzi malgrado dati economici deludenti.