Colte fior da fiore dalla intervista di oggi di Alberto Quadrio Curzio al Messaggero. Si parte con il downgrade delle nostre banche per opera di S&P:
Professore, le banche italiane meritavano un tale giudizio?
«Assolutamente no»Come se lo spiega?
«Non avendo letto le motivazioni posso solo fare delle congetture. Ebbene questo declassamento potrebbe essere conseguenza dell’altro, quello sul rating del debito dello stato [Davvero? Chi lo avrebbe mai congetturato? ndPh.]. Perché è chiaro che le banche italiane hanno in portafoglio una notevole fetta di titoli di stato. E certamente adesso non conviene venderli, il che potrebbe ridurre la loro liquidità. Ma ci potrebbe essere anche un’altra motivazione»
[Le motivazioni non sono segrete, sono pubblicate nel momento stesso dell’annuncio della revisione del rating. Se uno viene intervistato, e conosce il tema dell’intervista, dovrebbe forse fare i compiti a casa, ndPh.]
Attenzione alla grande rivelazione:
Quale?
«La bassa crescita del paese potrebbe prefigurare un aumento delle sofferenze bancarie [“potrebbe prefigurare”? Quest’uomo è dotato di un’intuito non comune, ndPh.]. ma anche in questo caso è una prospettiva che non vedo. Le nostre banche sono tra le più prudenti al mondo nella concessione di mutui immobiliari, accordati dietro stime rigorosissime della valutazione del bene. E anche i crediti alle imprese, vista la composizione del nostro tessuto industriale, sono molto frazionati. Insomma, si ispirano a criteri di sana gestione e non c’è una forte concentrazione del rischio»
Da dove iniziare? A parte quel pregevole “stime…della valutazione” che ricorda molto la “bella calligrafia”, qualcuno potrebbe spiegare a Quadrio Curzio che, quando il reddito nazionale non cresce o addirittura arretra, imprese e famiglie si trovano in tensione di liquidità e quindi non riescono a servire il debito in modo puntuale? Basta un aumento della disoccupazione, una flessione del reddito familiare da cassa integrazione protratta, e i rischi di cadere in arretrato con le rate del mutuo aumentano. Lo stesso vale per le imprese, che hanno problemi di flussi di cassa. La teoria della diversificazione settoriale e geografica vale poco e nulla, in contesti congiunturali come l’attuale, che è quello di una crisi sistemica, e non una recessione. Quadrio Curzio si guardi i rapporti tra debito e patrimonio netto delle imprese italiane non finanziarie. Scoprirà che le PMI non sono particolarmente capitalizzate, in media, e che spesso basta davvero poco per farle saltare. E da lì alle sofferenze bancarie il passo è breve.
Altra perla: Quadrio Curzio è ottimista per le prossime aste, perché
«I nostri istituti di credito hanno un forte senso di responsabilità e continueranno a sottoscrivere i titoli di stato»
Davvero? Sono le “banche di sistema” in fondo, no? Di un sistema marcio dalle fondamenta, però, anche se Quadrio Curzio non se ne è accorto. Altra lettura consigliata al professore: questo post di Fabio Scacciavillani su come è finito il giochetto delle “banche responsabili” in Portogallo.
Chiudiamo in bellezza, con un’altra considerazione tanto panglossiana quanto fattualmente sgangherata:
«Le banche tedesche e francesi hanno una quantità di titoli greci in pancia molto superiore alla nostra»
Sulle quantità di titoli greci oggi rimaste in pancia alle banche francesi e tedesche non sapremmo dire, né è rilevante, visto che la Grecia è un problema non se va in default “per sé”, quanto per “l’effetto-Lehman” che tale evento può innescare. Il problema sono i titoli di stato italiani in pancia alle banche italiane se il paese è contagiato, come ormai è. A meno che, già dalla prossima intervista, Quadrio Curzio non esibisca la sua Schadenfreude verso le banche francesi dicendo che “sono piene di titoli di stato italiani, e mo’ so’ cavoli loro”. Cadrebbe a fagiolo, con tutto l’imponente strumentario discernitivo che il professore valtellinese mostra di padroneggiare alla grande, su questa crisi. E con simili diagnosti nei comitati scientifici dei think tank de noantri, il paese è in una botte di ferro. O forse in una cassa di zinco.