La riforma spagnola del mercato del lavoro

Con l’approvazione parlamentare, la riforma del mercato del lavoro spagnolo, approvata un mese fa dal governo di Mariano Rajoy, diventa di fatto operativa. I punti qualificanti li trovate qui, in caso non aveste tempo o voglia di leggerveli ve li sintetizziamo.

Riguardo i licenziamenti illegittimi, il lavoratore a tempo indeterminato avrà diritto a 33 giorni di retribuzione per ogni anno lavorato, con un massimo di due anni di retribuzione. La disciplina precedente prevedeva 45 giorni di retribuzione per anno lavorato, con un massimo di 42 mesi di stipendio;

Riguardo i licenziamenti per motivazioni economiche, l’indennizzo sarà pari a 20 giorni di retribuzione per anno di lavoro, con un massimo di una annualità retributiva. Ma soprattutto, la legislazione introduce le cosiddette “clausole oggettive” per i licenziamenti economici, che consentiranno alle imprese di procedere ai licenziamenti dimostrando perdite effettive o previste, oppure in presenza di una flessione del fatturato per tre trimestri consecutivi.

In contropartita a questa flessibilizzazione estrema della disciplina lavoristica, sono previsti un giro di vite ai contratti temporanei, che non potranno eccedere i 24 mesi, l’innalzamento dell’età massima per i contratti di apprendistato a 25 anni (di questo passo, presto in Europa finiremo con l’avere apprendistato anche per gli ultracinquantenni). Previsto anche uno sconto fiscale di 3.000 euro per lavoratore under 30 assunto da imprese con meno di 50 dipendenti. Le aziende che assumono lavoratori di età compresa tra 16 e 30 anni avranno anche uno sconto sui contributi sociali fino a 3.600 euro in un periodo di tre anni. Lo sconto sale a 4.500 euro per le imprese che assumeranno disoccupati di lungo periodo over-45.

Riguardo la contrattazione collettiva, sarà data priorità a quella su base aziendale rispetto a quella settoriale o territoriale. Le aziende in crisi potranno evitare di aderire ad accordi territoriali o di settore. Alla scadenza di un accordo collettivo, sindacati ed imprese avranno due anni di tempo per rinnovare il contratto. Scaduto tale termine, cesseranno anche gli effetti di proroga di quello precedente, e tutto si azzererà.

Nel complesso, si tratta di misure fortemente pro-imprese, che creeranno un ambiente molto “americano”. Restano alcuni dubbi non sui provvedimenti nello specifico quanto sul contesto economico nell’attuale periodo storico. Poiché dovremo convivere ancora per molto tempo con una situazione di bassa domanda (siamo in balance sheet recession, non dimenticatelo), e viste la capacità delle imprese di spremere produttività anche con organici sensibilmente “asciugati”, il rischio di assistere a rigonfiamenti degli utili aziendali (delle grandi imprese globalizzate) senza riassorbimento della disoccupazione appare molto elevato. E a poco vale la classica argomentazione secondo cui al crescere della profittabilità cresceranno anche gli investimenti. Questo è sempre meno vero, nell’attuale periodo storico.

La sensazione, non suffragata da modelli econometrici, è che andiamo verso un’epoca in cui la redditività delle imprese coesisterà con altissimi livelli di disoccupazione strutturale. Sperando di non aver capito nulla di quanto sta accadendo, ovviamente.

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