La Bundesbank avrebbe segnalato ai parlamentari tedeschi la propria disponibilità ad accettare un tasso d’inflazione tedesco più elevato di quello medio dell’Eurozona, come conseguenza del ribilanciamento economico, che vede i paesi della periferia ristrutturare le proprie economie e la Germania beneficiare di condizioni economiche talmente favorevoli da indurre (forse) un qualche surriscaldamento dei prezzi. Anche se il meccanismo ha perfettamente senso, sul piano economico, attenzione ai facili entusiasmi e soprattutto ai malintesi.
Nei giorni scorsi il ministro delle Finanze di Berlino, Wolfgang Schaeuble, ha preso posizione in modo piuttosto inusuale a favore di aumenti salariali in Germania (che peraltro stanno già avvenendo):
«Va bene se i salari in Germania attualmente crescono più che in altri paesi della Ue. Questi incrementi salariali servono anche a ridurre gli squilibri entro l’Europa»
Posizione notevolmente conciliante ed in apparente contrasto con recenti prese di posizione proprio del capo della Bundesbank, Jens Weidmann, 0ltre che col fatto che la stampa tedesca (non solo quella popolare) continua a battere la grancassa del rischio-inflazione, sotto forma di probabile bolla immobiliare. Il governo tedesco potrebbe accettare un periodo di “redistribuzione” dei formidabili aumenti di produttività del sistema produttivo nazionale, ed eventuali surriscaldamenti dei prezzi immobiliari sarebbero gestiti dalla vigilanza bancaria con strumenti amministrativi, ad esempio riducendo il loan-to-value ratio, il rapporto tra importo mutuato e valore dell’immobile. Una cosa che, se fatta all’epoca, avrebbe evitato agli spagnoli di gonfiare la terribile bolla immobiliare il cui scoppio sta facendo saltare il sistema creditizio del paese iberico.
E’ ipotizzabile inoltre che la Germania possa aver deciso di allentare con giudizio le briglie all’inflazione (tutto è ovviamente relativo) perché i guadagni di produttività sono comunque molto elevati, oltre che per acquisire meriti politici in ambito europeo: facile immaginare Merkel e Schaeuble recarsi ai consessi europei e proclamare una cosa del tipo: “Avete visto? Stiamo contribuendo a fare della Germania la locomotiva europea, stimoliamo la domanda per riassorbire gli squilibri commerciali intracomunitari. Quindi ora smettere di piagnucolare e tagliate in fretta per raggiungere il pareggio di bilancio”
Ma anche l’effettiva comparsa di questa “moneta di scambio” tedesca non modificherà in modo significativo il quadro dell’Eurozona e le sue difficoltà. Il differenziale inflazionistico è strumento da libro di testo per correggere gli squilibri macroeconomici e commerciali, soprattutto in assenza della leva del cambio. Il problema è che ad una Germania con inflazione (ipotizziamo) al 3 per cento, dovrebbe fare da contraltare una periferia dell’Eurozona con inflazione in un intorno di 0-1 per cento, cioè con disinflazione sostanziale. Ma andrebbe comunque evitata la deflazione esplicita, che tende a fare esplodere il rapporto d’indebitamento. Un sentiero davvero stretto, soprattutto perché non siamo in una semplice recessione ma in una crisi finanziaria con sistemi bancari disfunzionali. E quando il credito non circola, tentare di produrre gli effetti di una svalutazione del cambio rischia di restare senza conseguenze pratiche.
I tedeschi dovranno peraltro gestire il rischio-bolla che si produce come conseguenza delle distorsioni che spingono i depositi bancari a lasciare la periferia e dirigersi verso la Germania. Servirà una sterilizzazione di tali flussi in ingresso per evitare che si trasformino in un boom creditizio simile a quello che ha affondato Spagna e Irlanda. Ricordando che, al crescere degli afflussi di depositi verso la Germania, quest’ultima vede crescere i propri crediti sul famoso e famigerato sistema Target 2, è precipuo interesse tedesco lavorare per ridurre gli squilibri. Ma da qui a dire che Berlino produrrà deliberatamente inflazione, ce ne corre.