Ed alla fine è arrivato, il vincitore del Wolfson Prize, il MacGyver dell’Eurozona, colui che ha il compito di sbrogliare l’euro senza finire sotto le macerie. Non siamo per nulla sicuri che le cose finirebbero senza intoppi, ma ecco le risultanze.
Il vincitore è un team di ricerca della società Capital Economics, guidato da Roger Bootle, che suggerisce i seguenti step per l’uscita ordinata di un singolo membro dall’Eurozona. Ecco come:
- Introduzione di una nuova divisa, a partire dal primo giorno di uscita dall’euro, quotata alla pari;
- Tutti i prezzi, salari, prestiti e depositi vengono ridenominati alla pari;
- Banconote e monete resterebbero in uso per “piccole transazioni” per un periodo fino a sei mesi;
- Il paese in uscita dovrebbe annunciare immediatamente un regime di inflation targeting, adottare una serie di regole fiscali molto dure, monitorate da un organismo di esperti indipendenti, vietare per legge ogni indicizzazione salariale, ed annunciare l’emissione di titoli di stato indicizzati all’inflazione.
In quest’ultimo punto è evidente il tentativo di evitare gli effetti fortemente inflazionistici del crollo della nuova moneta rispetto all’euro, circostanza che sarebbe pressoché certa. Anche l’emissione di titoli di stato indicizzati all’inflazione servirebbe a tentare di acquisire credibilità agli occhi di mercati ed investitori. Lungi dall’essere un’azione virtuosa, questo set di regole sarebbe in realtà il requisito minimale per evitare un’iperinflazione distruttiva. Ovviamente, la popolazione uscirebbe dall’operazione fortemente impoverita (escludendo sommosse di piazza), ma il recupero di competitività che dovrebbe teoricamente seguire a questa operazione porrebbe in astratto le basi per la ripresa.
Si prescrive inoltre (ovviamente) che il paese in uscita ridenomini il proprio debito nella nuova divisa nazionale e renda chiara la propria intenzione di rinegoziare i termini di tale debito. Questo, naturalmente, è un default che, secondo i vincitori del premio, sarebbe forse sufficiente a portare il quoziente debito-Pil al 60 per cento. Beh, si. Anche sotto, se è per quello: basterebbe ripudiare il debito.
Il paper vincitore propone che alti funzionari del paese uscente si incontrino “in segreto” un mese prima dell’annuncio pubblico dell’Evento. I partner dell’Eurozona e le altre istituzioni monetarie internazionali sarebbero informati tre giorni prima del D-Day (o meglio, del Doomsday), si precisa che ciò dovrebbe preferibilmente avvenire di venerdì (ma va?), quando avvererebbe l’annuncio urbi et orbi del changeover, che partirebbe a inizio della settimana successiva. Subito dopo questo annuncio, banche e mercati finanziari domestici andrebbero chiusi, per evitare fughe di capitali. E bisognerebbe anche usare l’esercito nelle strade, aggiungiamo noi.
La short list dei finalisti del Wolfson Prize
Non c’è nulla di originale (né di realistico, se è per quello) in tali ipotesi. La segretezza della fase preparatoria è una evidente utopia, e tutto salterebbe ben prima di giungere al fatale annuncio. E’ inoltre previsto che il governo del paese uscente e le istituzioni della Ue tentino di minimizzare l’incertezza sui problemi legali relativi alla validità della ridenominazione, allo status entro la Ue del paese in uscita ed alla continuità dell’euro. Certo, e magari giungere a questo master agreement durante un vertice bruxellese di un paio di notti, no?
La domanda sorge spontanea: era il caso di perdere tutto questo tempo per mettere assieme “proposte” che semplicemente non sono tali e che hanno un execution risk che equivale a fallimento certo? Ve lo diciamo da sempre: uscire dall’euro sarebbe un processo massimamente distruttivo, ed in esso non vi sarebbe nulla di “ordinato”. Il palese fallimento di un divertissement pubblicitario quale il Wolfson Prize dovrebbe rafforzare questo convincimento.