Nella settimana dell’ennesimo Eurogruppo, che ha tentato di dirimere le problematiche del fondo salva-spread, la Spagna ottiene una dilazione nel percorso di consolidamento fiscale e la prima rata di aiuti per le banche, ma le paga a caro prezzo, con una manovra da 65 miliardi di euro in due anni e mezzo che pone un serio rischio di avvitamento della propria crisi.
Nel frattempo, i mercati obbligazionari continuano a fare meglio di quelli azionari, con gli investitori che riducono le proprie aspettative di crescita e si chiedono se i policy maker riusciranno a contrastare le pressioni deflattive che gravano sull’economia. Limature delle stime di crescita del secondo trimestre anche per gli Stati Uniti, ormai sotto il 2 per cento annualizzato, ma attese di recupero (pur se sempre piuttosto esangue) per la seconda parte dell’anno, sulla spinta anche della decelerazione dell’inflazione, che porterà quindi ad un aumento dei redditi reali.
Non vi sono letture univoche della frenata della congiuntura globale nel secondo trimestre, ma è possibile ipotizzare siano riconducibili all’elevata incertezza della situazione economica, che per molti aspetti si autoalimenta, causando una gelata degli investimenti. In passato, condizioni di stallo di questo tipo sono state contrastate con misure di stimolo ma oggi, nei paesi sviluppati, i margini di manovra sono ai minimi o inesistenti, a differenza di quanto accade e potrebbe accadere ancor di più nei paesi emergenti, dove esistono munizioni fiscali e monetarie per contrastare il rallentamento, e fornire quindi maggiori opportunità agli investitori.
Nei paesi sviluppati, la politica fiscale è al momento restrittiva ovunque tranne che in Giappone, dove però il governo pianifica di raddoppiare le imposte indirette entro un triennio. L’obiettivo (e la scommessa) resta quello di fornire un chiaro percorso di consolidamento fiscale di lungo periodo (soprattutto riguardo gli Stati Uniti), evitando gli errori di strette violente, concentrate nel tempo e controproducenti come quella attuata in Eurozona. La politica monetaria nei paesi sviluppati è ormai in territori largamente inesplorati, almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti ed il Regno Unito, ed ulteriori misure di allentamento non convenzionale potrebbero anche risultare controproducenti o comunque effimere. Me negli Usa è ormai scontato che la situazione di stallo fiscale si protrarrà almeno fino alle elezioni di novembre.
Un simile contesto macroeconomico, caratterizzato da crescita globale debole e politica monetaria lasca, tende a premiare il reddito fisso e le strategie di ricerca di rendimento e di carry, quindi essenzialmente obbligazioni societarie ed emergenti. In ambito di debito sovrano, per i motivi detti sopra, tendono ad essere preferiti i paesi emergenti su quelli sviluppati. Preferiti anche i titoli difensivi su quelli ciclici sull’azionario, e il dollaro come valuta premiata dalle fasi di avversione al rischio.
Sul mercato del reddito fisso, nuovo rally dei governativi “sicuri”, con rendimenti prossimi ai minimi storici di tutti i tempi. Dati economici deboli, timori per l’Eurozona e politica monetaria molto accomodante restano elementi a sostegno dell’asset class. In Eurozona, il pessimismo (legato soprattutto alle sorti della Spagna) comprime ancora i rendimenti dei Bund tedeschi, mentre su ulteriori discese dei rendimenti dei Treasury statunitensi potrebbero pesare le posizioni già molto lunghe degli investitori. La riduzione a zero del tasso sui depositi da parte della Bce, la settimana scorsa, ha innescato una ricerca spasmodica di rendimento sulla parte a breve delle curve governative, di cui hanno beneficiato anche paesi (come la Francia) che non appaiono esattamente come modelli di virtù fiscale.
Lieve flessione settimanale del mercato azionario, che resta tuttavia ancora in utile dai minimi di giugno. La reporting season statunitense evidenzia finora che non vi sono rilevanti pressioni sui margini aziendali, come confermato dal fatto che le sorprese positive sugli utili per azione sono di grandezza superiore a quelle sui fatturati.
Sul mercato dei cambi, il rallentamento cinese appare in atto, pur se i dati suggeriscono che l’erogazione di credito sta già accelerando. Questo, e gli elevati rischi ed incertezza legati alla realizzazione dell’unione bancaria europea sostengono il dollaro, unitamente al rischio della stretta fiscale “automatica” statunitense, prevista per inizio 2013.
Le materie prime hanno proseguito il loro momento positivo, con un rialzo settimanale del 3 per cento, espresso in dollari.