Ulteriore ribasso dell’azionario in settimana, su timori per il fiscal cliff statunitense, dati macro peggiori del previsto e la ricomparsa di rischi di conflitto tra Israele e palestinesi.
Il flusso di dati economici settimanali è stato negativo, anche se quelli statunitensi sono stati con tutta probabilità distorti dalle conseguenze dell’uragano Sandy, e resteranno tali ancora per settimane. Peggiorano anche i dati europei, in particolare quelli britannici, circostanza che spingerà gli analisti a rivedere al ribasso le stime di crescita per quest’anno ed il prossimo. I mercati sono fortemente focalizzati sui negoziati a Washington su quello che è noto come Fiscal Cliff, la serie di tagli di spesa ed aumenti di imposte automatici tali, se attuati in assenza di correttivi, da spingere l’economia statunitense in recessione, poiché peserebbero tra il 3 ed il 4,5 per cento del Pil, a seconda delle valutazioni. Poiché nessuno, tra le parti coinvolte nel negoziato, vuole vedersi attribuire la colpa di un simile esito, è altamente probabile che nelle prossime settimane verrà raggiunto un accordo. Come sempre, i mercati prezzano gli attivi in termini di probabilità del verificarsi di un dato evento. Considerando il ribasso azionario “tipico” indotto negli Stati Uniti da una recessione, ed il livello attuale degli indici azionari, un calcolo alquanto rozzo ci suggerisce che, ad oggi, i mercati stiano prezzando un probabilità di recessione intorno al 40 per cento, verosimilmente troppo pessimistica.
Sul mercato delle obbligazioni governative, in settimana si è verificato un allargamento degli spread ed un ribasso dei rendimenti dei paesi “sicuri”. Uno dei temi economici e d’investimento più citati negli ultimi anni è stato quello secondo il quale i titoli di stato di paesi che dispongono di una propria banca centrale sarebbero in larga misura liberi dal rischio di default, in contrasto a quelli della periferia dell’Eurozona. Per contro, si è soliti argomentare, i paesi con una propria banca centrale e che attuano strategie monetarie non convenzionali sarebbero a maggiore rischio inflazionistico, di riduzione dei rendimenti reali e quindi del peso reale del debito. Il paese oggi maggiormente sospettato di un esito di questo tipo appare il Giappone, anche per effetto delle fortissime pressioni politiche sulla banca centrale. Restiamo in attesa di tali esiti, avendo presente che finora le azioni non convenzionali delle banche centrali non hanno causato aumenti di inflazione o di aspettative inflazionistiche, anche se occorre considerare le condizioni di contesto: immaginare ipotesi di annullamento della porzione di debito pubblico posseduta da una banca centrale rappresenterebbe certamente un elevato rischio di disancorare le aspettative inflazionistiche, oltre a certificare la fine dell’indipendenza della banca centrale coinvolta.
Anche il mercato azionario paga dazio in settimana al fiscal cliff ed agli altri timori, mentre evidenze aneddotiche suggeriscono una riduzione di posizioni lunghe da parte di investitori di peso quali gli hedge fund. L’eccezione vistosa al movimento ribassista, in settimana, è rappresentata dall’azionario giapponese, in anticipazione della possibilità che la Bank of Japan possa decidere, su pressione del governo, di spingere il proprio easing quantitativo in territori inesplorati. Già in passato l’azionario giapponese aveva sovraperformato gli altri mercati su simili attese, per poi restituire tutti i guadagni. L’investimento azionario in Giappone, date le premesse, necessita comunque di strategie di copertura valutaria.
Sul mercato obbligazionario a spread, i timori per il fiscal cliff e la più generale incertezza inducono un allargamento, soprattutto sul comparto high yield statunitense. Più isolate dal deterioramento le emissioni europee, malgrado condizioni economiche generali tutt’altro che positive: gli spread degli emittenti high yield europei sono infatti oggi più stretti di quelli di emittenti statunitensi, per la prima volta in tre anni. L’incertezza sta anche causando un forte rallentamento sul mercato delle nuove emissioni negli Usa, dove gli investitori si attendono spread più larghi per fine anno, mentre in Europa vengono aggiunte posizioni in high yield, anche grazie a previsioni di riduzione del tasso di default degli emittenti, che rendono quindi ancora appetibili i rendimenti corretti per il rischio.
Sul mercato dei cambi, il dollaro tende a rafforzarsi su timori che presidenza e Congresso non riescano a chiudere un accordo che eviti la stretta fiscale automatica. L’aumento di avversione al rischio che da ciò deriva, tende a premiare il biglietto verde. In condizioni normali tale momento di “risk-off” premierebbe anche lo yen, ma questa volta non sta accadendo, e la valuta giapponese è molto debole anche a seguito delle dichiarazioni del leader del partito Liberaldemocratico, Shinzo Abe, che le previsioni vedono come prossimo premier. Abe ha chiesto un target di inflazione molto aggressivo, passando dall’attuale 1 per cento al 2-3 per cento, e maggiore aggressività della Bank of Japan nel deprezzare la divisa.
In settimana, lieve ribasso per le materie prime, con caduta dei prezzi agricoli compensata in parte da aumenti per i metalli base, ed energia pressoché invariata. Le materie prime agricole sembrano evidenziare il movimento di mean reversion che è loro tipico, quando a fasi di prezzi elevati succedono altre di prezzi cedenti grazie a semine e raccolti copiosi che i prezzi elevati inducono.