Capo danno a Lisbona

Dal primo dell’anno, il Portogallo ha visto un impressionante aumento della pressione fiscale: l’aliquota media effettiva dell’imposta sui redditi aumenta del 30 per cento, passando dal 9,8 al 13,2 per cento. Chiunque percepisca più del salario minimo di 485 euro mensili, inclusi i pensionati, si vedrà praticare una sovraimposta del 3,5 per cento sul proprio reddito. Le misure, adottate dal governo di centrodestra di Pedro Passos Coelho, che guida un partito bizzarramente denominato “socialdemocratico”, servono per permettere al paese di centrare i target temporali di consolidamento fiscale negoziati con la Ue per ottenere assistenza finanziaria. Un caso da manuale di autolesionismo fiscale, ma soprattutto di un tipo di autolesionismo che giunge quando la via dei tagli di spesa si è dimostrata insufficiente a raggiungere l’obiettivo. Qualcosa su cui riflettere.

Intanto c’è da premettere che il gettito fiscale del paese continua ad essere terribilmente al di sotto delle fantasiose previsioni inserite nel piano triennale di assistenza negoziato con la Troika. Questo ha spinto il governo, sotto il peso dell’apprezzamento dei creditori ufficiali, a introdurre nuove vigorose strette per restare entro l’obiettivo, malgrado lo scorso settembre sia stato negoziato un allentamento degli obiettivi di consolidamento fiscale, con un deficit-Pil obiettivo per il 2012 spostato dal 4,5 al 5 per cento, e quello per il 2013 dal 3 ad un assai significativo 4,5 per cento.

Nel piano originario, il Portogallo consolidava le finanze pubbliche soprattutto a mezzo di tagli di spesa, ma ciò si è alla fine rivelato inefficace, o meglio ininfluente ai fini del miglioramento dei conti pubblici. O forse, e più propriamente, controproducente, visto che per contenere la spesa sono stati di fatto fortemente limitati gli ammortizzatori sociali. Lo storico calo della spesa corrente del paese, quindi, in aggiunta alla tradizionale mazzata su quella agli investimenti pubblici, ha raschiato il fondo del barile, mentre l’aggravamento della depressione (di cui è causa ed effetto il dissesto del sistema bancario portoghese) ha causato un crollo del gettito. E quindi, che fare? Ma un bell’aumento delle imposte, che diamine! Avete un paziente fortemente anemico e non avete sottomano la sacca delle trasfusioni? Nessun problema, applicategli sul corpo delle sanguisughe affamate e tutto si risolverà, per l’eternità.

Con la nuova manovra fiscale, una coppia che guadagna 3.500 euro al mese (equivalenti ad un lordo annuale familiare di 80.000 euro) finirà nello scaglione d’imposta ad aliquota massima (che passa dal 46,5 al 48 per cento, a cui va aggiunta una addizionale di “solidarietà” del 2,5 per cento), mentre fino a pochi giorni addietro ciò sarebbe accaduto solo con reddito mensile coniugale di almeno 6.000 euro.

Nel frattempo, giunge notizia che un altro esponente “socialdemocratico”, il presidente della Repubblica Anibal Cavaco Silva, ha sottoposto questo pacchetto fiscale alla corte costituzionale, invocando questioni di diseguaglianza di trattamento. Ma la realtà è che tutti i cittadini portoghesi stanno venendo trattati allo stesso modo: con la falce dell’austerità che causa depressioni economiche. E nel caso del Portogallo non si può neppure usare l’espressione che abbiamo usato per l’Italia ne “La cura letale“: loro erano già poveri, entro la Ue, sia pure in termini relativi.

Nella infinita saggezza che contraddistingue questi programmi di “aggiustamento”, la Commissione europea ha suggerito al governo portoghese un “piano B” di tagli di spesa in misura pari allo 0,5 per cento del Pil, in caso il gettito fiscale continuasse a restringersi. Ovviamente, nessuno dirà che i tagli di spesa destinati a chiudere il deficit sono recessivi, nel breve e medio periodo, ma a questo siamo abituati.

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