Rimbalzo dei mercati, dopo aver realizzato che gli investitori possono aver reagito in modo troppo brusco alle indicazioni della Fed. Ma le interpretazioni si moltiplicano, e con esse l’incertezza.
Si ipotizza, di volta in volta, che la Fed sia in realtà più ottimista delle previsioni ufficiali sullo stato dell’economia statunitense, oppure che stia cercando di sgonfiare la bolla prodottosi su alcuni mercati a seguito della ricerca di rendimento, o ancora che si tratti di un caso di errore eclatante di comunicazione. E’ probabile che vi sia un elemento di verità in ognuna di queste letture. Nel frattempo, il dato finale del Pil del primo trimestre (pari ad una crescita dell’1,8 per centi annualizzato) conferma che l’economia statunitense cresce ad un passo molto moderato, e che la previsione della Fed di una crescita doppia nella seconda parte dell’anno appare piuttosto ambiziosa. L’azione della Fed dovrebbe restare condizionata ai dati economici per cui un ulteriore rialzo dei rendimenti, tale da danneggiare l’economia, dovrebbe trovare compensazione nel rinvio della fuoriuscita dal QE3 e del rialzo dei tassi ufficiali.
Mentre le prospettive del mercato azionario appaiono sostanzialmente inalterate (quindi complessivamente positive), quelle del reddito fisso, sia nei paesi sviluppati che emergenti, appaiono mutate, perché è verosimile attendersi un processo di fuoriuscita più o meno ordinata dalle posizioni costruite nei mesi e negli anni precedenti. Molte di queste posizioni, peraltro, si trovano in condizioni di liquidità scarsa, e richiederanno quindi del tempo per essere ridimensionate.
Sul mercato dei titoli di stato, quotazioni e rendimenti pressoché invariati in settimana. Le vendite degli ultimi due mesi dovrebbero aver posizionato i Treasury a lunga scadenza sul percorso di breve termine atteso dalla Fed e dal consenso di mercato, con innalzamento del premio a termine che dovrebbe produrre movimenti meno bruschi nelle quotazioni. Rendimenti più alti e curve lievemente più ripide dovrebbero quindi contraddistinguere la seconda parte dell’anno.
Sul mercato delle obbligazioni a spread si è registrato un ulteriore allargamento malgrado il rally del mercato azionario, a seguito dei pesanti deflussi da fondi comuni ed ETF. Anche se il livello dei rendimenti su obbligazioni societarie investment grade e high yield è risalito in modo vistoso, l’inerzia dei disinvestimenti potrebbe mantenere pressione sulla asset class, penalizzando, come detto, le emissioni meno liquide e di scadenza più lunga.
Sul mercato dei cambi, il mese si è chiuso con il dollaro mediamente poco variato, malgrado l’alta volatilità di azioni ed obbligazioni. Il biglietto verde si è infatti indebolito contro euro, sterlina, yen e franco svizzero ma si è fortemente apprezzato contro le valute emergenti, a causa dei forti deflussi di quest’ultime. La Cina resta una incognita in grado di condizionare il mercato dei cambi: le autorità hanno stretto la disponibilità di credito ad alcuni settori per spingere il ribilanciamento del modello di crescita, ma ciò è accaduto in una economia che stava già rallentando, e le valute dei paesi produttori di materie di prime tendono ad essere legate alla crescita cinese. L’evoluzione del cambio dollaro-yen appare legata da un lato al differenziale dei tassi, che dovrebbe rafforzare il dollaro, dall’altro alla volatilità, che tende a rafforzare lo yen.
In settimana, materie prime in rialzo dell’1 per cento in dollari, ma con andamento diversificato: energia in rialzo del 2 per cento, metalli preziosi in calo del 7 per cento e metalli base invariati. Questi ultimi restano poco appetibili in un contesto di crescita più debole dei paesi emergenti e di repressione dello shadow banking in Cina. La discesa del prezzo del petrolio Brent in prossimità della soglia di 100 dollari al barile potrebbe innescare reazioni di restrizione dell’offerta da parte dell’OPEC, per proteggere i prezzi, oltre ad incoraggiare acquisti strategici da parte della Cina. Ulteriore sostegno alle quotazioni dovrebbe venire dalla vistosa inversione della curva a termine del Brent (cioè prezzi a pronti più elevati di quelli a termine), che indica condizioni di offerta piuttosto strette e consente un roll positivo, cioè di rinnovare posizioni a termine guadagnando.