Contro il logorio della crisi moderna

Viviamo tempi confusi ed infelici. Per questo quando un ministro dell’Economia (da queste parti sinora più o meno sempre difeso da attacchi spesso belluini) riesce a dire che la banca centrale italiana «si trasformerà in public company», parlando del provvedimento per la rivalutazione delle quote, visto che il tetto al 5% per la partecipazione «lascia la porta aperta a investitori europei» (sic), e quindi sarà una struttura di public company «di cui nessuno avrà il controllo», sapendo che la definizione di public company è approssimativamente questa, a noi viene da sperare che si sia trattato solo di un brutto scivolone linguistico causato dalla stanchezza e dallo stress per la situazione del paese e del suo governo.

In alternativa, possiamo sperare che si sia trattato di una forma di ignoranza del genuino significato del termine public company. Non il massimo della vita, per l’ex direttore generale della Banca d’Italia, ma almeno nessuno si farebbe del male. Se invece l’espressione è stata usata con cognizione di causa, in una psichedelica sperimentazione di una forma di iperprivatizzazione, beh, allora è probabile che questo paese sia destinato ad andare incontro a problemi esistenziali gravi, molto gravi, e neppure troppo distanti nel tempo. Però confidiamo che, prima o poi, questo incubo abbia fine.

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