Il gioco delle tre gabellette – 2

Proviamo a fare il punto dopo il consiglio dei ministri di ieri, che ha posto termine (ma anche no) alla vicenda dell’Imu prima casa, e lo facciamo con la traccia del comunicato ufficiale. Per capire quanto è grave lo stato confusionale di un paese in crisi fiscale. Con danni permanenti conseguenti alle decisioni di “copertura” e generando un livello di incertezza nei contribuenti-consumatori che da solo basterebbe a mandare in tilt le decisioni di consumo, se già non fosse in corso la crisi economica più grave degli ultimi ottant’anni.

Dunque, recita il comunicato di Palazzo Chigi:

Si abolisce la seconda rata dell’IMU 2013 sull’abitazione principale ad eccezione degli immobili classificati nelle categorie A/1, A/8, A/9. Per quanto riguarda l’IMU agricola per i fabbricati rurali e per gli imprenditori agricoli professionali relativamente ai terreni è prevista l’esenzione totale dal pagamento della seconda rata.
Lo Stato rinuncia così a un gettito previsto di circa 2.150 mln.
Il mancato gettito viene compensato tramite acconti e aumenti d’imposta a carico del settore finanziario e assicurativo.
In dettaglio, la copertura del provvedimento è così composta:
Per 1,5 mld circa: aumento al 130% dell’acconto IRES e IRAP dovuto per l’anno d’imposta 2013 dalle società del settore finanziario e assicurativo. Per questi stessi soggetti l’aliquota IRES viene elevata per il solo anno d’imposta 2013 al 36%

Quindi, per il 2014 abbiamo una Robin Hood Tax di un anno di 8,5 punti percentuali a carico del settore bancario-assicurativo, che dovrà pure aggiungere un mega-acconto Ires-Irap del 130%. Quindi, a questo livello, le banche non ricevono un regalo ma sono randellate pesantemente. Ma è sul giochetto dei comuni di aumentare a piacere l’aliquota sull’Imu prima casa, per ottenere maggiori compensazioni statali e far quadrare i bilanci, che si abbatte la scure di Palazzo Chigi, e non poteva forse andare diversamente:

«Per quanto riguarda il gettito ulteriore atteso dai comuni che hanno deliberato per l’anno 2013 aliquote superiori a quella standard, circa metà dell’importo viene ristorata dallo Stato; a fini perequativi l’altra metà verrà versata dai contribuenti interessati a metà gennaio 2014, alle stesse scadenze già programmate per altri tributi»

Quindi, i comuni hanno un buco di complessivi 500 milioni nel proprio bilancio 2014, che in qualche modo dovranno ripianare. Esiste quindi la possibilità che gli italiani vengano chiamati a pagare una mini Imu prima casa a gennaio 2014, ma almeno agli annali consegneremo l’attestazione solenne che “nel 2013 l’Imu prima casa è stata abolita”, con tutte le sue implicazioni pesantemente regressive derivanti dall’abolizione dell’imposta, ma di quelle abbiamo già detto.

Poi ci sono le “dismissioni” di immobili pubblici:

«Sono inoltre state varate norme che facilitano il processo di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, in particolare è stata estesa anche alle Regioni e agli Enti locali la possibilità di cedere beni immobili a Cassa Depositi e Prestiti»

La CDDPP diventerà quindi la pattumiera dell’immobiliare pubblico? Chi può dirlo. Poi c’è il capitolo Banca d’Italia, che ha già visto la psichedelica definizione del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Riepiloghiamo perché molte cose continuano a non essere chiare:

«La Banca d’Italia viene quindi autorizzata ad aumentare il proprio capitale mediante utilizzo delle riserve statutarie sino a euro 7,5 miliardi.
La Banca potrà distribuire dividendi annuali per un importo non superiore al 6% del capitale.
Ciascun partecipante al capitale non potrà possedere – direttamente o indirettamente – una quota di capitale superiore al 5%. Per favorire il rispetto di tale limite, la Banca d’Italia potrà acquistare temporaneamente le quote di partecipazione in possesso di altri soggetti.
Il decreto amplia il novero dei soggetti italiani ed europei che possono detenere quote del capitale della Banca d’Italia. I soggetti autorizzati saranno quindi: banche, fondazioni, assicurazioni, enti ed istituti di previdenza, inclusi fondi pensione.
Per effetto di questa modifica normativa, le banche potranno essere autorizzate ad includere le quote nel patrimonio di vigilanza, rafforzandone la base di capitale»

Il punto più bizzarro e meno chiaro al momento è quello del “riacquisto temporaneo” di proprie quote da parte della Banca d’Italia. Se solo si pensa a quanto ammontano la quota di Intesa Sanpaolo e Unicredit, si intuisce che stiamo parlando di importi imponenti. Ora, che significa “riacquisto temporaneo”? Che Bankitalia compra a fermo, cioè a titolo definitivo, avendo come obiettivo ideale quello di cedere comunque la partecipazione in azioni proprie, prima o poi? Oppure che Palazzo Koch farà una sorta di operazione di pronti contro termine garantito da un sottostante rappresentato da azioni proprie, cioè di fatto fornendo liquidità alle banche “eccedentarie” della sua quota? Questa seconda ipotesi appare improbabile, perché sarebbe una sorta di ELA (Emergency Liquidity Assistance) dalla banca centrale nazionale alle banche commerciali del proprio paese, per la quale non vi sono i presupposti, visto che il rubinetto della Bce resta aperto. Se vale la prima ipotesi, quindi, abbiamo il sospetto che la nuova normativa resterà inapplicata come già avvenuto per la “Legge Siniscalco” del 2005, quella che prevedeva la cessione delle quote di Bankitalia detenute dalle banche commerciali italiane.

In sintesi, quindi: le banche vengono randellate in modo demenziale sul piano fiscale per il 2014, salvo poi essere indennizzate con il flusso di dividendi della Banca d’Italia, che è comunque atteso in robusta crescita, pur in presenza del nuovo tetto del 5% al possesso azionario. Se vi siete persi, leggendo sin qui, siete in buona compagnia. E tutto, tutto, per aver inseguito i diktat ed i capricci del neo-decaduto che esigeva il taglio dell’Imu prima casa come articolo di fede e come pietra filosofale. Qui non siamo neppure al dito ed alla luna, ma all’unghia del dito che punta alla luna nel pozzo.

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