BarTori, o delle mezze stagioni andate a male

Oggi, sul Corriere, c’è un cosiddetto editoriale del professor Giovanni Sartori. La notizia, in sé, non avrebbe alcuna rilevanza se non fosse per i concetti del tutto stralunati che in tale editoriale compaiono, e che pongono un problema piuttosto oggettivo (come si diceva ai tempi delle suggestioni rivoluzionarie) sulla qualità di quello che compare negli spazi dei commenti della stampa italiana che “conta” per l’improbabile formazione ed informazione di quell’Ufo chiamato opinione pubblica.

Il punto del commento di Sartori è la critica di alcuni effetti della globalizzazione, in particolare della qualità dell’immigrazione nel nostro paese. E’ un tema sul quale servirebbe discutere in termini non emotivi, non miopi e sufficientemente razionali ma ciò è evidentemente impossibile, per la sensitività del tema e per il processo che ha ormai trasformato questo paese in un gigantesco stadio a cielo aperto. Il problema è che Sartori crea un mix di problematiche differenti e riesce a servire al lettore una sbobba illeggibile, oltre che zeppa di non sequitur in modo sinceramente preoccupante.

Prendete questa frase:

«Eppure era ovvio che aprirsi alla globalizzazione in un mondo nel quale i salari dei Paesi poveri, i Paesi del cosiddetto Terzo mondo, erano 5, 10, a volte persino 20 volte, inferiori ai nostri salari, avrebbe costretto le nostre industrie, specie le grandi industrie, a dislocarsi dove il lavoro costava meno»

Da essa pare evincersi che la “globalizzazione” causi disoccupazione. Bizzarro che Sartori veda questo effetto solo in Europa, e soprattutto che questo “dettaglio” non gli suggerisca la ricerca di altre cause per il fenomeno. Provare a guardare come gli Stati Uniti hanno sinora gestito la “globalizzazione” era evidentemente fuori dalla portata del professore fiorentino, che pure per molti anni ha insegnato negli States. O ancora, siamo sicuri che il problema della disoccupazione siano le delocalizzazioni, o non piuttosto la capacità di un sistema-paese di risalire la catena del valore aggiunto? A Sartori hanno spiegato che la Germania ha una imponente immigrazione ed ha vissuto una altrettanto imponente fase di delocalizzazione, eppure la sua economia è rimasta in piedi, e lo era anche prima delle enormi distorsioni causate dalla crisi del debito dell’Eurozona? Ma soprattutto, a Sartori hanno spiegato che il mondo non è fatto di causazioni univariate e che, soprattutto, la correlazione non è causalità?

Altra frase “problematica”:

«I Paesi più efficienti e meglio governati hanno sinora fronteggiato la situazione. Ma in parecchi membri dell’Unione Europea la globalizzazione ha gonfiato il debito pubblico a livelli non sostenibili e ha gonfiato a dismisura la burocrazia dello Stato o comunque a carico dello Stato. Oggi siamo costretti a dimagrire: per cominciare, via gli enti inutili, via le Province, via le burocrazie clientelari e gonfiate delle Regioni»

Cosa c’entri la “globalizzazione” (e qui continueremo ad usare le virgolette sin quando Sartori non avrà dato una definizione operativa di cosa, secondo lui, è una cosa chiamata globalizzazione), col debito pubblico e “la burocrazia dello stato” ci sfugge completamente, ma deve essere nostro limite. Per non parlare dello sproloquio seguente sul “dimagrimento”. Volendo azzardare una esegesi, parrebbe di cogliere l’implicito che la “globalizzazione” avrebbe fatto esplodere i costi per welfare causati dalla umanità cenciosa e culturalmente aliena che ogni giorno sciama in questo paese. Basterebbe guardare i numeri per capire che le cose stanno in termini lievemente differenti.

Bisogna “proteggersi” per fare tornare il lavoro in Europa, sentenzia Sartori, “come hanno sempre fatto tutti gli altri Paesi avanzati, ivi inclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito (che sta in Europa sì e no), e cioè proteggendosi quando occorre. Sartori non viene neppure sfiorato dalla idea che la crisi Europea sia l’aggiustamento sghembo e disfunzionale ad una severa crisi di debito da parte di una regione che, sul piano della governance economica e delle istituzioni sovranazionali, sinora ha sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare, ma transeat. E qualche esempio di “autoprotezione” da parte degli anglosassoni, Sartori non vorrebbe fornirlo a noi poveri ignoranti?

Sorvoliamo anche sulla distinzione tra federazione e confederazione (svizzera) e su ciò che ne deriverebbe, che nel pezzo rappresentano lo svogliato dazio (pun intended) che Sartori paga alla propria professione, e giungiamo rapidamente alla “soluzione”:

«La mia proposta invece è di una Unione Europea che sia al tempo stesso anche una unione doganale. Il che significa che una difesa doganale non può essere decretata da un singolo Stato, ma deve essere autorizzata, per esempio, dalla Banca centrale europea. Altrimenti il nostro Paese continuerà a tassare semplicemente per pagare poco e male le pensioni, e a sussidiare poco e male i disoccupati

Scusate, ma voi riuscite a capire che diavolo significhi questo passaggio? Cosa diavolo è una “unione doganale” entro una unione economica che ha abolito le dogane interne circa sessant’anni addietro? Cosa diavolo sarebbe la “difesa doganale” di un singolo stato, quella rispetto al resto del mondo o rispetto agli altri paesi della Ue? E soprattutto, per quale diavolo di motivo dovrebbe essere “autorizzata dalla banca centrale europea” l’imposizione di dazi non è chiaro verso chi? A Sartori non hanno spiegato che la Bce è responsabile della politica monetaria dell’Eurozona? Concetto ribadito poco oltre:

«A questo proposito si deve ricordare che la industrializzazione dell’Europa continentale fu favorita e protetta da una unione doganale (inizialmente lo Zollverein tedesco); in sostanza, dalla protezione delle industrie senza le quali un Paese non diventa industriale. Nel contesto dell’Unione Europea la protezione di ogni singolo Stato dovrebbe essere consentita, per esempio, dalla Banca centrale, che potrebbe anche permettere barriere interne che siano giustificate dalla difesa del lavoro e delle industrie chiave nei Paesi che le hanno perdute. L’alternativa è quella di cui stiamo soffrendo: tasse crescenti, e oramai suicide, per pagare una disoccupazione crescente»

Ma quando mai? Lo Zollverein tedesco servì a favorire l’industrializzazione tedesca, rimuovendo le barriere doganali interne al territorio tedesco, che era frammentato quanto e più di quello della penisola italiana. Di quali barriere avrebbe bisogno oggi l’Italia, non già per sviluppare una industria nascente bensì per non “perdere” quelle esistenti? E nessuno ha detto a Sartori che il protezionismo chiama altro protezionismo, noto col termine di “rappresaglia commerciale” nei confronti delle nostre esportazioni? Pare che in questo paese ormai impazzi il grillismo ignorante, che spesso appare la versione degenerata dei più sobri tremontismo e leghismo. Pare che tutta questa psichedelica manfrina serva però solo ad arrivare a criticare una persona, sempre quella, peraltro:

«Un pozzo senza fondo nel quale stiamo sprofondando sempre più (altro che ripresa!), visto che abbiamo anche stabilito che l’immigrazione clandestina non è reato, e che abbiamo una ministra dell’Integrazione che si batte per istituire lo ius soli , il diritto di chi riesce ad entrare in Italia di diventarne cittadino»

Questa è malafede o anche ignoranza, o un mix delle due? Quando mai la Kyenge ha parlato di ius soli “puro”, e non piuttosto di acquisto condizionato della cittadinanza, dopo alcuni anni dalla nascita, in una versione di fatto solo più tenue della normativa attuale? Qualcuno ha spiegato a Sartori come funziona la doppia cittadinanza tedesca, e come verrà modificata a seguito degli accordi di Grande Coalizione? Come mai un amante del non sequitur non cerca analogie in giro per il mondo?

Seguono considerazioni di vario grado sul costo del welfare causato dai “disintegrati”, dimenticando che l’Italia non ha welfare da offrire a nessuno, e quindi è difficile pensare a forme di “parassitismo sociale” esteso e pervasivo; oppure la considerazione esplicitamente razzista contro

«Questa immigrazione proviene al meglio da Paesi che sanno gestire piccoli negozi, piccoli traffici nei vari bazar, e cioè i mercati caratteristici del Medio Oriente dove si vendono chincaglierie di ogni genere ma che non hanno mai sviluppato una società industriale»

Sartori fa bene a chiedere “protezione”. Ma anche i lettori del Corriere dovrebbero chiedere protezione contro simili sciocchezze del tutto prive di fondamento fattuale e che paiono frutto di ossessioni personali sulla base di tesi che un tempo hanno avuto una qualche base di condivisibilità ma che ora appaiono soprattutto lo sproloquio di un anziano signore che parla di argomenti che palesemente non padroneggia. Quanto costa al Corriere un simile editorialista, anche in relazione allo stato di crisi dell’editore di quel giornale? E quanto costa, in termini di credibilità del sistema paese, avere simili “editoriali” in quello che dovrebbe essere il maggiore quotidiano italiano, figlio di una tradizione cosiddetta liberale più apparente che reale? Se ci servono riscontri del grado di decadimento civile e della incapacità di un paese di comprendere cosa gli stia accadendo, un pezzo come questo è esemplare, oltre che desolante.

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