Tra le pieghe del decreto legge “per un’Italia Coraggiosa e Semplice”, in mezzo a coperture fantasiose ed una tantum che costringeranno a fare (e dare) i numeri nella legge di stabilità per il 2015, ve n’è una che è una perla di ipocrisia, che rappresenta l’ennesima violazione della certezza della norma fiscale e che danneggerà le imprese, peraltro già indirettamente colpite dalla nuova aliquota di tassazione delle “rendite finanziarie”.
La misura è quella relativa alle rivalutazioni dei beni d’impresa, inserita nella Legge di Stabilità 2014 dal governo Letta. In base a tale norma, il maggiore valore attribuito a beni e partecipazioni aziendali veniva tassato attraverso il pagamento di una imposta sostitutiva del 16% per i beni ammortizzabili e del 12% per quelli non ammortizzabili (tipicamente i terreni), applicata al valore di rivalutazione. La Legge di Stabilità 2014 disponeva che tale imposta si dovesse versare in tre annualità: quest’anno, nel 2015 e nel 2016
Ebbene, nel cosiddetto decreto-bonus-oraics, questa norma diventa carta straccia e si dispone che il versamento debba avvenire in unica soluzione con la dichiarazione di quest’anno. Bello fare impresa ed essere contribuenti in un paese il cui legislatore se ne f0tte della certezza del diritto, vero? E non è tutto: secondo la norma originaria, i valori incrementati degli attivi aziendali sono riconosciuti ai fini delle imposte dirette solo a decorrere dal terzo esercizio successivo a quello di effettuazione della rivalutazione. Questo significa che i maggiori ammortamenti sui beni rivalutati cominceranno ad essere deducibili solo dall’esercizio 2016. In assenza di un correttivo al decreto-oraics che renda immediatamente deducibili tali maggiori ammortamenti, le aziende coinvolte si troveranno a sputare liquidità per complessivi 600 milioni quest’anno senza contropartita alcuna.
Questo va alla voce “riduzione di agevolazioni alle imprese”, ed è ovviamente una copertura una tantum, fate attenzione. Se considerate che il beneficio da riduzione Irap per il 2014 è stimato in circa 700 milioni di euro, e considerando che il sistema delle imprese avrà quest’anno un maggiore aggravio per 600 milioni dalla misura di cui sopra, potete calcolare da soli il beneficio netto per il sistema, prescindendo ovviamente dagli effetti distributivi.
A questa levata d’ingegno del governo si somma poi l’aliquota al 26% della tassazione delle “rendite”, che finirà con l’aumentare il costo della raccolta bancaria, riverberandosi sul costo del credito alle imprese. Le quali imprese, almeno la parte di esse che emette obbligazioni, saranno costrette ad alzarne il rendimento per contrastare lo spostamento dei risparmiatori verso i titoli di stato, tassati al 12,5%.
Che dire? “Se non pago questi 80 euro a maggio sono un buffone”, disse il premier. Per lui contava questo obiettivo e lo ha raggiunto, e pazienza che lo raggiunga lasciando fuori soggetti ad alta propensione marginale al consumo (pensionati ed incapienti), o creando delle feroci distorsioni alle aliquote marginali effettive di chi ha reddito in un intorno di 24-28.000 euro. E fa nulla che colpisca i risparmi degli italiani, inclusi depositi bancari. Fa nulla anche che il suo ministro dell’Economia dichiari oggi candidamente che quegli 80 euro dovranno essere resi strutturali dal prossimo anno (visto che ad oggi non lo sono): lui il suo obiettivo simbolico lo ha raggiunto, quindi non è un buffone. Le buffonate, invece, abbondano in questo provvedimento ed in tutto l’impianto di questo decreto approssimativo, incoerente ed arrogante come il soggetto che lo ha ispirato.