Ancora su banche italiane e ristrutturazione del debito pubblico

Si è svolto ieri a Milano, organizzato da AcomeA Sgr e Fondazione Corriere della Sera (con la presenza in forze degli amici di Advise Only),  l’interessante convegno “La sostenibilità del debito pubblico. E’ possibile scalare una montagna alta 2.100 miliardi di euro con politiche convenzionali?“, a cui hanno partecipato Lucrezia Reichlin, Guido Tabellini, Charles Wiplosz, Paolo Manasse e l’ex ministro greco George Papaconstantinou, che secondo l’umile opinione del vostro titolare ha svettato per livello di consapevolezza e senso dell’umorismo (spesso amaro). Di tutto l’evento, merita segnalare soprattutto un dato.

Nella sua relazione introduttiva, che serviva per inquadrare il tema nei suoi aspetti quantitativi, il professor Manasse ha segnalato che l’esposizione del sistema bancario italiano al debito sovrano del nostro paese, calcolata non solo come possesso diretto ma anche indiretto, è al momento di circa l’11% del totale degli attivi bancari. “Non è un importo elevato”, ha commentato Manasse. In realtà è un importo potenzialmente letale.

Per capire il perché, consideriamo il rapporto di leverage del sistema bancario, cioè il quoziente tra mezzi propri (equity) ed attivo patrimoniale. Questo quoziente è molto grezzo ma efficace per un rapido calcolo “back of the envelope” di quello che potrebbe accadere in ipotesi di ristrutturazione del nostro debito sovrano. E’ importante precisare che non stiamo parlando di “attivo ponderato per il rischio”, che è la misura cardine del sistema di vigilanza bancaria, nelle sue varie articolazioni, e che a volte si presta a manipolazioni. Il quoziente di leverage è brutale ma efficace, anche se non discerne tra rischiosità degli impieghi. Per questo motivo i regolatori tendono ad usare entrambe le misure di rischio.

Ma non divaghiamo. Il dato cruciale da valutare, in ipotesi di ristrutturazione del debito pubblico, è l’entità del leverage delle banche italiane, cioè il rapporto tra mezzi propri ed attivi. Senza fare nomi, da una rapida ricognizione emerge che tale rapporto, per le nostre maggiori banche quotate, oscilla tra il 5 e l’8%. Occorre naturalmente valutare l’incidenza dei titoli di stato nei singoli casi. Se ipotizziamo una banca “media”, con titoli di stato che rappresentano il 10% degli attivi ed un leverage dell’8%, con un complesso algoritmo giungiamo a capire che una ristrutturazione del debito pubblico italiano, con haircut del 50%, dimezzerebbe i mezzi propri delle nostre banche. Se invece l’haircut fosse del 70%, i mezzi propri della banca italiana “media” verrebbero inceneriti, ed occorrerebbe una ricapitalizzazione di emergenza (in realtà occorrerebbe anche nell’altro caso, ma non sottilizziamo).

La prossima volta che qualcuno vi dice che ristrutturare il debito pubblico italiano è fattibile senza particolari problemi, ricordategli questo “dettaglio”. E ricordate a voi stessi che, proprio per questo “dettaglio”, se la situazione dovesse peggiorare ed il rischio di non sostenibilità del nostro debito pubblico dovesse riaffiorare, è estremamente probabile che si giunga a manovre di emergenza assoluta sotto forma di una patrimoniale pressoché confiscatoria, per giungere alla “grande compensazione” tra debito pubblico e ricchezza privata. Questa è la famosa “patrimoniale da 400 miliardi” di cui scherzava (ma anche no) Fabrizio Barca mesi addietro, e di cui nei palazzi che contano tutti sono consapevoli.

P.S. Il professor Tabellini, nel suo intervento, dopo aver premesso che “al momento non vi sono elementi per ipotizzare l’esigenza di ristrutturazione” ha detto che, dovendo scegliere, “meglio l’uscita dall’euro che la ristrutturazione del debito”. E qui siamo perplessi, per usare un blando eufemismo: un impegno concreto, più stampanti per tutti, per fare default fingendo di non averlo fatto? Invece, George Papaconstantinou, dopo aver parlato di “enorme sottovalutazione degli aspetti sistemici della crisi del debito sovrano” (qualcosa che su questo piccolo ed insignificante sito avete letto da sempre e da subito), e constatato che nel caso greco sono stati fatti gravissimi errori di valutazione, primo fra tutti il vertice di Deauville, in cui Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno rimosso la chiave di volta dell’edificio monetario europeo, facendo accendere la famosa scritta “okay, panic”, ha fatto una considerazione fondamentale: “la sostenibilità del debito pubblico è negli occhi di chi guarda”, cioè “del giovane trader basato a Londra”. Questa è una grande verità, a nostro giudizio: come spiegare altrimenti i livelli di spread e di rendimento assoluto per paesi come Portogallo, Irlanda, Spagna, Italia?

It’s politics: ad oggi, “il mercato” si disinteressa del fatto che i rapporti di debito stiano continuando ad aumentare. Quanto durerà l’effetto di questa pillola?

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