Ieri sera, trasmessa da La7, c’è stata l’ennesima intervista di Alan Friedman al premier Matteo Renzi. Ad essa fa seguito un articolo-riassunto di Friedman sul Corriere, stamane. Si conferma che in Italia esiste un grave problema tra media e potere, ma la cosa più interessante è che tale problema non è limitato a giornalisti indigeni ma può colpire anche quelli di importazione.
Premettiamo che intervista ed articolo non resteranno nella storia patria, né in quella del giornalismo. Abbiamo visto Renzi molto defiant, come direbbero quelli che sanno l’inglese, e Friedman molto compassato, oltre che attento a non porre domande che forse avrebbe posto se si fosse trovato fuori dall’Italia. Non basta essere anglosassoni per ottenere la patente di watchdog, evidentemente. E così, ecco Renzi che
(…) con la risolutezza del toscano di razza, sentenzia in modo laconico: «Piaccia o non piaccia, le riforme le faremo!»
Prima di iniziare la posa della statua equestre del premier, diciamo che nell’intervista ci sono alcuni passaggi molto sfiziosi, e certamente meritevoli di quell’approfondimento che Friedman non ha ritenuto di compiere.
Ad esempio, c’è la frase di Renzi sulla crescita, che appare piuttosto bizzarra, a dirla tutta:
«Che la crescita sia 0,4 o 0,8 o 1,5% non cambia niente dal punto di vista della vita quotidiana delle persone»
E qui Friedman prende atto, anziché strabuzzare gli occhi e chiedere a Renzi se per caso stia scherzando, magari ricordandogli quello che Renzi stesso ebbe a dire meno di tre mesi addietro, quando era convinto che l’Italia nel 2014 avrebbe toccato l’imprescindibile (ed ora improvvisamente irrilevante) crescita dello 0,8%, previsione che era già deviante per eccesso rispetto al consenso domestico (Banca d’Italia, Confindustria) ed internazionale (FMI, Ue, Bce):
«Le previsioni sono un mare magnum dove ciascuno di noi fa la sua parte. Ma che sia lo 0,5%, lo 0,8%, l’1,1% o il 2%, quello che a me interessa è che le persone trovino un posto di lavoro»
C’è il piccolo dettaglio che i posti di lavoro si trovano se c’è crescita, quindi il legame tra le due cose non può essere disgiunto. Oggi invece, divenuto irrealizzabile il mini-traguardo dello 0,8%, Renzi sostiene che “non cambia niente” per la vita quotidiana delle persone, neppure con eventuale +1,5% e Friedman non solo non lo incalza, ma riesce pure a mostrarsi comprensivo, con un bel
«E con onestà ammette che non è sufficiente per abbattere il livello della disoccupazione»
Eh beh, che dire, viva l’onestà, e comunque a noi volpi l’uva non è mai piaciuta, si sappia. Poi Renzi rilancia sullo sblocca-Italia, e sull’ultimo spin dei mirabolanti 43 miliardi di euro di spesa per infrastrutture,
«che non violano nessun vincolo europeo perché sono già conteggiati»
Ma ne siamo davvero sicuri? Quella è spesa in conto capitale, non corrente, e come tale viene “conteggiata” quando è erogata, non quando è deliberata, o no? A noi sarebbe quindi piaciuto che Friedman ponesse questa domanda a Renzi, ma evidentemente è già tutto calcolato e previsto, siamo noi gli ignoranti e passiamo oltre, attendendo gli altri 31 miliardi di rimborsi dei debiti della P.A., “entro il 21 settembre”.
Altro punto sfizioso: la nomina dell’Alto Rappresentante Ue per la Sicurezza e la Cooperazione, cioè il “ministro degli Esteri” dell’Unione. Noi ricordavamo che la posizione di Renzi (terribilmente naif) fosse “Mogherini o muerte” ma evidentemente ricordiamo male, perché Renzi ha già un piano d’azione:
«L’Italia non ha ancora presentato il proprio commissario», spiega Renzi. «Ora aspettiamo che Juncker ufficializzi la richiesta. Se Juncker ufficializza la richiesta noi arriveremo a portare la candidatura il 29 o 30 agosto. La posizione italiana è molto semplice. Noi non mettiamo un nome ufficialmente sul tavolo finché non c’è la certezza che tocchi all’Italia»
Ecco. Quindi avevamo sognato le barricate sulla Mogherini, ed evidentemente siamo stati in tanti ad aver sognato. Persino il sottosegretario Sandro Gozi, che a quanto pare non si è ancora risvegliato. Abbiamo sognato in tanti ma Friedman è rimasto ben sveglio, al punto da non ritenere di chiedere conto a Renzi neppure di questa tardiva giravolta.
Che dire? Il giornalismo (ed il giornalista) deve fare domande, per capire ed in seguito spiegare. Prendiamo atto che oggi, in Italia, ci sono legioni di geni che fanno i giornalisti, e che quindi non hanno bisogno di capire. Se non foste ancora convinti è problema vostro ma siamo fiduciosi che prima o poi vi entrerà in testa, producendo il caratteristico suono butubum-butubum.