Macromonitor – 30/11/2014

Nuovi massimi storici per l’azionario statunitense, nella settimana del Thanksgiving. Cedimento delle materie prime indotto dal crollo del 10% del petrolio, dopo il mancato taglio di produzione da parte dell’Opec.

Sui mercati continua quindi ad essere premiata la strategia di sovrappeso di azionario e dollari, e di essere corti di petrolio. Le stime di crescita globale restano al momento stabili intorno al 3% per il prossimo anno. Tra le aree del pianeta che esercitano la maggior influenza sulla crescita globale, potenziale ed attuale, la Cina resta molto focalizzata sul mantenimento della “velocità di crociera” della crescita, ma mostra di volere e potere agire sia dal versante della domanda che da quello dell’offerta, ad esempio introducendo i primi ma importanti elementi di competizione tra istituzioni creditizie sui costi della raccolta e più in generale di liberalizzazione dei mercati finanziari. Negli Stati Uniti la Fed resta disponibile a lasciar progressivamente stringere le condizioni del mercato del lavoro, e la sanatoria di Obama sull’immigrazione potrà contribuire a sostenere la crescita. L’Eurozona resta al momento la delusione planetaria in termini di contributo alla crescita oltre che un’eterna incompiuta, a livello istituzionale e di politiche economiche complessive, non solo monetarie. Inoltre, circostanza che spesso sfugge al dibattito politico, l’attuazione di riforme dal lato dell’offerta tende ad avere effetti depressivi sulla crescita corrente, che vanno compensati da un sostegno di politica monetaria e fiscale. Le riforme strutturali un contesto di assenza di crescita o addirittura di contrazione finiscono col produrre effetti anche fortemente negativi.

Sui mercati dei titoli di stato, lo scenario 2015 vede al momento un passo di crescita globale di trend, cioè intorno al 3%, ma ampie divergenze attese in termini di prospettive inflazionistiche, con Stati Uniti e Regno Unito che dovrebbero vedere una progressiva accumulazione di pressioni salariali derivanti da condizioni vieppiù strette del mercato del lavoro mentre Eurozona e Giappone sono destinati a restare ancora ampiamente sotto il target di inflazione. Ciò dovrebbe condurre ad una evidente divergenza di politica monetaria, con la Fed e la Bank of England che sono attese ai primi rialzi dei tassi ufficiali d’interesse intorno a metà del 2015, mentre Bce e Bank of Japan aumenteranno la dimensione dei loro bilanci, cioè manterranno ed amplieranno politiche monetarie eccezionalmente espansive. Il calo dei prezzi delle materie prime ed i persistenti timori per l’economia cinese dovrebbero contribuire a mantenere moderati i tassi in Asia, favorendo i mercati obbligazionari della regione.

Sui mercati azionari, in settimana è proseguita la tendenza rialzista. Il mancato accordo in sede Opec su tagli di produzione ha colpito duramente le azioni di società di estrazione e servizi petroliferi. In termini di allocazione regionale, il crollo delle quotazioni del greggio andrà a beneficiare i paesi emergenti asiatici (esclusa la Malaysia), che sono tra i maggiori importatori netti di greggio mentre i paesi latinoamericani, ad eccezione del Cile, tenderanno ad essere penalizzati dal calo dei prezzi petroliferi. In Brasile, la nomina del nuovo ministro delle Finanze, nella persona di Joaquim Levy, già membro del governo Lula, di formazione economica anglosassone e considerato un falco fiscale, è stata salutata favorevolmente dai mercati.

Sul mercato dei cambi, l’affollato scenario di consenso per il 2015 vede, come detto, il dollaro in ulteriore rafforzamento contro le maggior parte delle valute, sviluppate ed emergenti. Il rischio a questo scenario quasi plebiscitario è dato da rinvii della restrizione monetaria da parte della Fed, causati dalla stessa forza del dollaro, dalla debolezza delle maggiori economie partner degli Stati Uniti e dal progressivo indebolimento delle aspettative inflazionistiche anche negli Usa. Questo rischio dovrebbe essere neutralizzato dall’impulso espansivo rappresentato dal cedimento dei prezzi del greggio. Ma se ciò non avvenisse, e quindi se il rialzo dei tassi statunitensi non dovesse materializzarsi, il dollaro potrebbe subire un indebolimento simile a quelli visti a settembre 2013 sul rinvio del tapering da parte della Fed o in conseguenza del rallentamento congiunturale verificatosi nel primo trimestre di quest’anno.

Sul mercato delle materie prime, petrolio in calo di circa il 6% nella giornata di venerdì, dopo che l’Opec ha concluso il proprio meeting con un nulla di fatto circa i livelli di produzione. Alcuni analisti prevedono ora un obiettivo di prezzo del greggio a 65 dollari per il Brent e 60 per il WTI entro i prossimi due mesi, e questo dovrebbe spingere l’Opec a tagliare le quote di produzione nel primo trimestre del prossimo anno. Se ciò non dovesse accadere, ci si attende un taglio da parte dei produttori non-Opec, ma a passo piuttosto lento ed in un contesto di persistenti pressioni ribassiste sui prezzi.

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