Fantasilandia fiscale

Oggi la leader della Cgil, Susanna Camusso, se la prende (assai correttamente) con la follia del “tesoretto” inventato dal nulla ad aprile per essere distribuito entro le elezioni amministrative di fine maggio, con una improbabile e fantasiosa “copertura” e senza che si sappia alcunché di come progredirà il bilancio pubblico (e l’economia del paese) da qui al bilancio di assestamento, in autunno. Camusso definisce il dibattito come “fantasy”, ed ha ragione da vendere. Solo che, partendo da qui, si sposta rapidamente sul tema della disoccupazione (corretto), per poi giungere a ricette fiscali che, come al solito, sono qualcosa di non meno fantasy di quelle altrui.

Partiamo dalle diagnosi e dalle constatazioni, più o meno condivisibili:

«O alziamo il reddito dei lavoratori o in questo Paese la domanda non può ripartire. Non servono bonus fantasmagorici»

E anche:

«Una delle ragioni di difficoltà del Paese è l’assenza di domanda interna, il fatto che non c’è una ripartenza dei consumi e che il reddito si è spostato sempre di più nelle mani di pochi invece di essere ridistribuito»

La mancanza di domanda è reale ed effettiva, e non solo in Italia. Sulla diseguaglianza in quanto determinante esclusiva o prevalente della debolezza della domanda medesima “la giuria è ancora riunita”, come direbbero gli anglosassoni. Ad oggi, le evidenze esistenti sono controverse. Sappiamo (o dovremmo sapere) che i soggetti ad alto ed altissimo reddito tendono ad avere una propensione al consumo inferiore, allo stesso modo in cui sappiamo che gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un apparente “buco” di domanda, molto spesso surrogato e colmato da forte espansione del credito, con tutto quello che ne è conseguito in termini di distorsioni ed esiti da scoppio di bolle.

Tutto ciò premesso, aggiunto anche che non si vive di soli consumi visto che servono anche investimenti e che questi ultimi si alimentano (toh, guarda un po’) di risparmio -quindi servirebbe maggiore equilibrio sull’equazione- e premesso anche che queste sono tematiche planetarie e che come tali difficilmente potranno essere gestite dalla rivoluzione in un solo paese, che farebbe Camusso, in termini di ricette di policy? Presto detto:

«Per ridistribuire verso il basso il reddito servirebbe un fisco progressivo e minimi contrattuali più alti nell’ambito dei contratti nazionali»

Andiamo con ordine. Sul “fisco progressivo” qualcosa si può dire, nel senso che l’attuale struttura delle aliquote d’imposta, marginali effettive (cioè dopo applicazione delle detrazioni) e medie penalizza in Italia i redditi medi e medio-bassi, con un significativo effetto disincentivante sull’offerta di lavoro. Se Camusso intende che serve ridisegnare in modo meno cervellotico la curva delle aliquote marginali e medie effettive nel tratto iniziale, siamo certamente con lei. In dettaglio, osservando il lavoro di Botti, Nisticò, Ragusa e Reichlin, vediamo che la curva dell’aliquota media Irpef ha una pendenza letteralmente oscena nel tratto di reddito compreso tra 8.000 (all’uscita dalla No Tax Area) e 15.000 euro (figura 3).

Utilizzando il sistema delle detrazioni, sarebbe necessario ed urgente ridurre tale pendenza ma senza andare a percuotere i ricchi, soprattutto quelli con imponibile intorno a 40-50.000 euro, che in Italia sono di solito quelli che pagano il conto per tutti. Questa proposta di intervento prevede una detrazione fissa (indipendente dal reddito) di 1.840 euro per redditi imponibili compresi tra 8 e 15.000, oltre tale soglia si avrebbe riduzione lineare delle detrazioni fino al loro azzeramento per redditi oltre i 55.000 euro, per un costo stimato di 5 miliardi che salirebbero a 7 tagliando di tre punti l’aliquota nominale oggi al 38%, ed appare certamente più razionale del famoso bonus renziano da 80 euro e delle sue oscene aliquote marginali effettive. Se poi volessimo stanziare per un intervento del genere tutti i 10 miliardi del bonus forse riusciremmo a fare cose interessanti, efficaci ed efficienti. Noi però sospettiamo che Camusso stia chiedendo di irripidire la curva Irpef, sic et simpliciter, quindi non possiamo seguirla.

Ma è sull’altra prescrizione di policy che siamo perplessi, per usare un blando eufemismo: minimi contrattuali più alti nell’ambito dei contratti nazionali. Qui, fin troppo facile chiedere a Camusso: “scusi, ma di che parla?”. Vogliamo un salario minimo de facto, e più alto dei minimi contrattuali nazionali? E se questo finisse col mettere fuori mercato molte aziende ed ancor più lavoratori, in alcuni settori? Che faremmo, in quel caso? Disoccupazione in ulteriore crescita da gestire come? Con “aumento della progressività fiscale”, in modo che dopo un paio di cicli di questo loop finiamo direttamente in Sudamerica senza neppure avere le materie prime?

Camusso ed il suo sindacato dovrebbero tentare di scrostare la propria elaborazione da un pernicioso massimalismo, che ne mina alla radice la praticabilità. E massimalismo non è l’opposto di minimalismo, sia chiaro. Diversamente avremo sempre un sindacato inutilizzabile a fini di elaborazione di policy, e non meno fantasy di un premier che si inventa un tesoretto di deficit e poi ordina al suo ministro dell’Economia di difendere l’indifendibile.

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