Pare che il premier abbia deciso di non impiccare i conti pubblici ad una sentenza della Consulta. Non è la prima volta che accade, nel corso della storia repubblicana, non sarà l’ultima. Pare peraltro che, per le erogazioni, verrà utilizzato il “tesoretto di deficit” che Renzi voleva immolare sull’altare delle ormai imminenti elezioni amministrative. Sublime nemesi, per gli esteti della politique politicienne. Ma sono altre, ben altre, le cose che ci inducono a pensare che questo paese non ce la farà.
Ad esempio, le reazioni veementi di tanti masanielli contraffatti come borse Louis Vuitton nei mercatini delle pulci. Quelli che si sono scoperti paladini dei pensionati, “senza se e senza ma”, inclusi i pensionati da svariate migliaia di euro mensili poco o nulla contribuiti durante la vita lavorativa. Quelli che pure hanno votato un provvedimento di pura emergenza e rigorosamente a termine introdotto da un governo precedente, basato su una assai blanda deindicizzazione degli assegni pensionistici e che oggi, annusando l’inconfondibile odore di quella sostanza che, assieme al sangue, rappresenta l’essenza della politica (nell’immortale definizione di Rino Formica), sono pronti a salire sulle barricate dei leggendari “diritti acquisiti”, la corda che sta ormai serrando il collo del paese al punto che l’ipossia da essa indotta provoca già forti allucinazioni nel dibattito pubblico.
E così, in questi giorni, sentiamo dotte disquisizioni sul “contratto” che uno stato liberale stipula con i propri pensionati ma tali disquisizioni cadono nel vuoto cosmico della realtà, la mortale nemica di questo paese e della sua classe politica, sia di quella al potere pro tempore che di quella che ambisce a sostituirla. La Grande Coperta di Linus dei Diritti Acquisiti è il prodotto tipico di questa dissociazione, si alimenta e nutre la diffidenza sociale che rende noi italiani così sinistramente simili alla disgraziata Grecia. Per comprendere meglio il conflitto tra la realtà e gli italiani, basta leggere oggi Alessandro Penati su Repubblica, in particolare su cosa sono i Diritti Acquisiti (rigorosamente con la maiuscola) in questo paese:
«In che cosa consista, in pratica, la violazione dei Diritti Acquisiti, l’ho capito ascoltando casualmente alla radio il signor Cardinale: a fronte dei contributi versati, lo Stato gli aveva promesso un certo tenore di vita in età pensionistica; se avesse saputo che la promessa non sarebbe stata mantenuta, avrebbe fatto altre scelte in età lavorativa, per esempio risparmiare di più per costituire una pensione integrativa. Ma se questi sono i Diritti Acquisiti costituzionalmente garantiti, allora lo Stato ne viola altri in continuazione. Viola i Diritti Acquisiti dei risparmiatori che investono in Btp, se c’è poi un aumento imprevisto dell’inflazione che riduce il potere di acquisto del risparmio. Li viola anche quando aumenta le tasse sulla casa acquistata con i risparmi di una vita, riducendo il tenore di vita del proprietario. Oppure quando aumenta le imposte su un’attività, rendendo l’investimento non più economico rispetto al momento in cui l’attività era stata intrapresa. O quando impone contributi a chi aveva scelto liberamente di lavorare come autonomo, preferendo i rischi e le incertezze di questa attività all’onere della contribuzione previdenziale. In tutte queste circostanze, gli individui coinvolti si sarebbero potuti comportare diversamente se avessero saputo che lo Stato avrebbe violato diritti che, erroneamente, ritenevano acquisiti»
Perfetto, diremmo. Chi dice che l’Italia non è un paese di forte e radicata cultura liberale si sbaglia di grosso. E’ un liberalismo un po’ anomico e straniante ma non bisogna essere schizzinosi, nella vita. E’ un liberalismo caricaturale da foresta pietrificata, in realtà, perché estende sino a deformare quel concetto di “santità dei contratti” (che qui da noi sono da sempre sistematicamente violati ma ogni volta “con le migliori intenzioni” ed avendo il Bene Comune come bussola, s’intende) e letteralmente lo pietrifica nel passato, sordo e cieco alla realtà. E pensate che stiamo parlando di una misura, quella della deindicizzazione parziale delle pensioni, che era a termine e del tutto blanda, rispetto alla gravità della situazione che stavamo vivendo quando fu adottata, e che oggi viene presentata come l’atto di affamare un popolo intero, inclusi quelli con rendite pensionistiche di 4-5.000 euro mensili, e oltre. Perché lo reclama “l’adeguatezza del tenore di vita”, sia chiaro. E le conseguenze, oltre alle compatibilità, si f0ttano. Ancora Penati:
«La pensione è diventata un diritto economico garantito per sempre dalla Costituzione: neppure lo Stato, una volta che l’abbia concesso, lo può più toccare. Sembra ineccepibile. Invece è incoerente. Lo Stato concede a chi sottoscrive il suo debito pubblico il diritto a incassare gli interessi e ricevere il rimborso del capitale alla scadenza. Se lo Stato rischia l’insolvenza perché non ha risorse sufficienti per onorare il proprio debito, i Diritti Acquisiti, costituzionalmente garantiti o meno, devono essere subordinati a quelli dei creditori. Non è una questione giuridica, ma di buon senso: se per onorare i Diritti Acquisiti dei pensionati, rispettando la volontà della Corte Costituzionale, agli occhi degli investitori rischia l’insolvenza, lo Stato dovrà prima pagare più interessi, aumentare le tasse e ridurre le spese, scaricando il costo dei Diritti Acquisiti sul resto del Paese. Se poi si arrivasse al default, non ci sarebbero più i soldi neanche per le pensioni. La norma dichiarata illegittima dalla sentenza era proprio tesa a scongiurare il rischio (allora reale) di default»
E qui casca l’asino, ci pare già di leggere o sentire. Torme di piccoli e grandi risolutori di problemi dalla memoria cortissima o dalla logica conferita all’ammasso sono già pronti a spiegare che la cosa si può risolvere. Basta una bella patrimoniale, o la lotta alla leggendaria corruzione, o stampare moneta e felicità. Non è difficile, italiani. Ci sarà sempre un Campo dei Miracoli dove andare a scavare per disseppellire qualche “tesoretto” altrui, o una pentola piena di monete d’oro in fondo all’arcobaleno da andare a cercare. E’ il mestiere di arruffapopolo iperlocalistici, ragazzetti e ragazzette ormai invecchiati senza mai aver lavorato, gran sacerdoti del proiettile d’argento, sanguinari immaginari e vari disturbati da tastiera che muovono le truppe sui social network a colpi di retweet, in attesa di immolare la propria dentatura ad un muro di cemento armato che viene loro incontro a velocità folle.
E’ un paese basato su narrative ed avversione esistenziale alla realtà. Non potrà che finire male, anche se non necessariamente presto. Perché maledetto è quel paese in cui la realtà è incostituzionale.
- Lettura complementare consigliata – Come contemperare equità e dettami costituzionali? Tassando la parte di pensione non derivante da contribuzione, secondo la proposta del professor Dario Stevanato.