In molti si sono chiesti per quale motivo, in occasione delle forti turbolenze di questi giorni sui mercati, la moneta unica europea si è apprezzata in modo vistoso, soprattutto contro dollaro. La risposta più verosimile risiede in quanto fatto sinora dalla Bce, o meglio nella reazione a tale apprezzamento.
L’avvio dell’easing quantitativo da parte della Bce ha radicato nei mercati il convincimento che l’euro fosse destinato a restare debole per non breve tempo. Per contro, la sfasatura apparente dei cicli economici tra Eurozona e Stati Uniti, con i secondi prossimi al decollo dei tassi ufficiali d’interesse (dicunt), ha accentuato la debolezza della moneta unica europea. In questo contesto, l’euro è divenuto il perfetto candidato per strategie di cosiddetto carry trade. In altri termini, ci si indebita in una divisa che ha tassi d’interesse bassi e cedenti, e che è destinata a deprezzarsi o almeno a non apprezzarsi, e si investe il ricavato in attività finanziarie che sono attese apprezzarsi.
Lo scoppio di volatilità sui mercati è notoriamente nocivo per strategie di carry trade, in molti modi. Nel caso specifico, le perdite su investimenti effettuati a leva, cioè con debito, spingono a chiudere le posizioni, e di conseguenza a ricomprare la valuta utilizzata per indebitarsi. Secondo questa chiave di lettura, quindi, l’euro si comporta (fatte le debite proporzioni) come lo yen giapponese, che da tempo immemore è il veicolo preferito di funding per le strategie di carry trade. Non solo: al ridursi delle probabilità attribuite dal mercato a tempistica e magnitudine del rialzo dei tassi statunitensi, anche molte posizioni corte su euro-dollaro (in cui cioè si comprano dollari vendendo euro) sono state ridotte, e questo ha a sua volta determinato domanda aggiuntiva per gli euro.
Ora sarà interessante scoprire quale è la “soglia del dolore” della Bce in relazione all’apprezzamento dell’euro. Oggi ne abbiamo forse avuto una prima indicazione dalle parole del capo economista della Bce, Peter Praet. Il quale, parlando a margine di una conferenza a Mannheim, ha segnalato che la crisi dei paesi emergenti e la più generale volatilità dei mercati non depongono a favore di un recupero della crescita. Di conseguenza, cresce il rischio di nuove pressioni disinflazionistiche, che metterebbero a rischio l’obiettivo di tornare in prossimità del 2% che è il mandato istituzionale della Bce, per perseguire il quale è stato avviato l’easing quantitativo.
I mercati hanno letto queste parole di Praet come un “suggerimento” di prosecuzione del QE della Bce anche oltre il settembre 2016 e/o come prodromico a nuove eventuali iniziative, e si sono rinfrancati, spingendo in lieve ribasso il cambio dell’euro contro dollaro. Ora attendiamo nuovi “suggerimenti” dall’Eurotower circa il livello “corretto” di cambio della moneta unica. Che con alta probabilità non è l’attuale.