Schadenfreude italiana

Dopo lo spettacolare crollo dei mercati azionari, ed in particolare del settore bancario, il nostro cosiddetto dibattito pubblico si è rapidamente popolato di forme di vera e propria Schadenfreude per il fatto che persino l’ex onnipotente Deutsche Bank è in disgrazia, peraltro non da oggi. In parallelo, prosegue la martellante campagna di stampa domestica volta a dimostrare che siamo piccole vittime indifese della sorte ria. La narrativa continua ad essere a maglie larghissime, e la realtà vi si infila agevolmente. La logica, invece, vi è già transitata molto tempo addietro, e da allora non si è più vista.

Intanto, i mercati. Crolla il settore bancario globale. Perché? Boh, ogni razionalizzazione ex post va bene, come sempre: tassi negativi che si diffondono a macchia d’olio sul pianeta, e che sono puro veleno per le banche; Cina e mercati emergenti; quotazioni del greggio e rischio perdite su crediti causate da default di imprese del settore energia; quotazioni azionarie gonfiate dall’eccesso di liquidità di questi anni di politica monetaria non convenzionale; eccetera. Se credete, metteteci anche le macchie solari.

Tra le banche non si è salvato nessuno da inizio anno, di qua e di là dall’Atlantico. Poi, ovvio che perde di più che è più vulnerabile, anche nei singoli paesi. La nostra stampa, nel frattempo, è freneticamente impegnata a stigmatizzare il disastro di Deutsche Bank, il mostro che rischia costantemente di sfuggire al controllo, pieno di titoli strutturati che sono prezzati a “Level 3” cioè a mezzo di algoritmi interni più o meno fantasiosi (mark-to-model o più propriamente mark-to-fantasy), essendo privi di mercato liquido. Oltre ciò, pesano i costi delle litigation in giro per il mondo, sinora di svariati miliardi. Un modello di banca universale entrato in profonda crisi col ridimensionamento dell’investment banking. E quant’altro. Basterebbe guardare alla capitalizzazione di borsa di Deutsche Bank, ed ai suoi multipli, per capire quanto il mercato diffidi profondamente del moloch di Francoforte.

E come commenta la nostra stampa, in via maggioritaria? Con una sorta di compiaciuto ditino levato e dandosi di gomito: “Visto? Questi sarebbero i primi della classe”. E poi ci sono i derivati, signora mia: “centinaia di migliaia di milioni di miliardi”, che potrebbero distruggere il mondo e questo lato della galassia, più volte. Bene, quindi? Su Deutsche Bank si possono fare due considerazioni, visto che siamo al Bar Schadenfreude. La prima è che speriamo che non esploda, perché ci porterebbe all’inferno con sé, ed in quel caso avremmo assai poca voglia di sbertucciare i gradassi tedeschi. Questo pare che i nostri patrioti proprio non riescano a coglierlo. La seconda è che, ove mai fosse necessario metterla in sicurezza, il governo tedesco metterebbe soldi propri, e non nostri.

Questo pare essere il punto non colto: quando gli italiani sostengono vigorosamente che con la garanzia europea sui depositi sarebbe tre volte Natale e festa tutto il tempo, omettono di dire che ciò avverrebbe con soldi non solo nostri ma di tutta Europa. Provate a rovesciare il discorso: se saltasse Deutsche Bank, e con essa il sistema bancario tedesco, e vi fosse la garanzia europea sui depositi operante, noi italiani dovremmo pagare per i tedeschi. Vi alletta, l’idea? Non troppo? Ma allora, perché continuate ad invidiare il debito pubblico altrui, attuale e potenziale, speso o impegnato per sostenere i sistemi bancari? In altre parole, perché soffrite di questa singolare invidia debitorum? Dovete decidervi, illustri editorialisti: o le banche italiane “sono sane”, e quindi chissenefrega della garanzia unica europea sui depositi, cioè di soldi di altri contribuenti europei che ci verrebbero in soccorso; oppure le banche italiane non sono sane, e quindi di che parliamo?

Sulla garanzia europea sui depositi: i tedeschi (e non solo loro) hanno detto che serve assegnare una ponderazione per il rischio ai titoli di stato in pancia alle banche. Anche qui, la posizione è nota: non prendersi rischi di mutualizzazione prima che un trattato abbia introdotto il debito comune dell’Eurozona. Può piacere o meno, ma questa è la realtà. Ancora: si dice che le banche italiane siano strutturalmente frenate dal prestare a famiglie ed imprese a causa delle sofferenze, e c’è del vero in questo. Ma nessuno dice che è possibile per le banche ricomporre l’attivo, cioè liquidare parte del proprio portafoglio di titoli di stato ed utilizzare il ricavato per fare prestiti a famiglie ed imprese. Ah no, che distratti che siamo: se facciamo prestiti dobbiamo accantonare capitale di vigilanza, e quindi abbiamo un problema, mentre coi titoli di stato la ponderazione è zero. Argh, ci hanno scoperti! Ma voi ricordate che Banca Etruria, prima del dissesto, aveva oltre la metà dell’attivo investita in titoli di stato? Non erano le nostre valorose banche locali quelle che prestano al territorio?

Sin quando il dibattito pubblico italiano sarà incentrato su vittimismo e sul complotto dello Straniero, non riusciremo a toglierci dal buco in cui ci siamo ficcati. Attenti a desiderare troppa mutualità, comunque: potreste averla.

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