Chi ha detto che i banchieri sono noiosi e prevedibili?

Oggi sul Sole c’è un pezzo di Fabio Pavesi che spiega un’operazione di investimento finanziario sull’estero effettuata dagli ex vertici della Banca Popolare di Vicenza. Una lettura affascinante ed istruttiva, un case study da business school che illustra la superiore capacità gestionale di alcuni tra i nostri banchieri.

L’antefatto, rapidamente (ulteriori dettagli qui): la banca ha effettuato investimenti in fondi lussemburghesi per 350 milioni di euro. Tali fondi si dichiaravano “multistrategy”, e la particolarità era che erano sottoscritti per la quasi totalità dalla banca italiana. Alla fine del primo semestre 2o15, sotto l’occhiuta supervisione della Bce, la banca italiana è costretta a svalutare l’investimento in due di questi fondi per ben 103 milioni, il 30% del totale. Il tutto con le borse ed i bond ai massimi storici, interessante. La svalutazione sarebbe stata motivata in base al “presumibile valore di realizzo” degli attivi in essi contenuti. Ancora più interessante, al limite dell’affascinante.

A questo punto, il nuovo management della banca italiana presenta un esposto alla magistratura, un atto inevitabile. A cui si aggiunge, come si rileva dall’articolo di oggi di Pavesi, il rilievo di un ispettore di Bankitalia circa l’investimento effettuato da uno dei fondi lussemburghesi in una holding, anch’essa lussemburghese, che ha in pancia una società operativa che ha per oggetto l’escavazione di pozzi petroliferi in Kansas e Texas, e che è formalmente quotata sul Marché Libre di Parigi ma che da anni non presenta bilanci. Sempre più affascinante.

L’ipotesi (per usare un delicato eufemismo) quindi, è che tali fondi servissero

«[…] come schermo offshore per comprare azioni della stessa banca e finanziare l’acquisto di bond di grandi clienti della stessa Vicenza»

Fermiamoci qui, per il momento. La magistratura sta indagando e noi siamo notoriamente garantisti, anche se non fessi. Quello che ci preme rimarcare è l’investimento in fondi lussemburghesi che hanno praticamente un unico sottoscrittore, e l’esito dell’operazione di ripulitura effettuato dal nuovo management:

«Le svalutazioni sui fondi schermo sono costate care alla banca. Le rettifiche hanno toccato un valore di quasi 170 milioni. Di fatto è andata bruciata la metà del denaro che la banca di Zonin aveva parcheggiato oltre confine»

Resta da capire come simili pratiche siano sfuggite alla vigilanza. Il tempo dirà (ma anche no). Pare trattarsi di un’altra audace operazione di ingegneria finanziaria non troppo dissimile, nello spirito, da quella compiuta da chi sottoscriveva contratti derivati per occultare perdite, e li chiudeva in cassaforte. Sempre nelle italiche lande.

Noi restiamo comunque molto preoccupati per la situazione delle banche tedesche e per il loro smodato utilizzo di derivati. Avvisate tosto il nostro analitico editorialista collettivo.

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