L’interesse generale a non farneticare

Anche oggi non ci facciamo mancare l’accrocchio risolutivo per “aiutare” le nostre solidissime banche a divenire ancora più solide. Dobbiamo confessare che siamo ammirati dalla fantasia con cui i nostri leader, spalleggiati da una generazione di tecnici di prim’ordine, stanno spulciando nelle pieghe e negli anfratti delle normative comunitarie per riuscire a poter mettere le sofferenze sulle spalle dei contribuenti, a valore di bilancio corrente. Noi cerchiamo di restare al passo con questo florilegio di ingegneria finanziaria istituzionale per disperati, ma è sempre più difficile.

Oggi, sul Messaggero, compare un articolo di Rosario Dimito in cui si spiega che, tra gli strumenti a cui l’Italia starebbe meditando di ricorrere, in caso di problemi alle banche, e che risultano autorizzati dalla Ue sotto determinate condizioni, vi sarebbe la Sieg, che sta per “società di interesse economico generale”, acronimo che non conoscevamo, per confessare la nostra ignoranza. Secondo il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), la Sieg

[…] tutela servizi di interesse collettivo che non possono essere forniti dal mercato in modo soddisfacente e “a condizioni, quali prezzo, caratteristiche obiettive di qualità, continuità e accesso al servizio, coerenti con il pubblico interesse, quale definito dallo Stato”

Uhm. Letta così, non pare aver molta attinenza col credito, però. Sembra più che altro qualcosa relativo ai casi di fallimento del mercato (nell’accezione autentica, non in quella caricaturale a cui i Nostri fanno ricorso ogni volta che devono trovare soldi pubblici) nei settori dei servizi di rete e delle utilities. Ed infatti, nell’articolo del Messaggero si ricorda che

«Tra i servizi destinati ai cittadini o rientranti nell’interesse collettivo c’è per esempio il settore della banda larga, tanto attuale di questi tempi»

Ma si ricorda anche che, tra questi servizi, “non c’è il risparmio”. Andando all’origine del concetto e della sua normazione comunitaria, abbiamo trovato questa definizione:

«I servizi di interesse generale designano attività soggette ad obblighi specifici di servizio pubblico proprio perché considerate di interesse generale dalla autorità pubbliche. Sotto questa voce si ritrovano sia attività di servizio non economico (sistemi scolastici obbligatori, protezione sociale ma anche le funzioni inerenti alla potestà pubblica come la sicurezza, giustizia, la difesa ed altro) ma si ritrovano anche attività di servizio cosiddette di interesse economico generale»

Ed ancora:

«Per la loro caratteristica si pongono in una sorta di zona franca intermedia tra attività economiche, da gestire secondo i canoni dell’efficienza e nell’ambito di un contesto competitivo e attività non economiche da gestire in funzione dell’interesse generale ed in vista di obiettivi di coesione sociale o territoriale, di equità redistributiva ecc.»

Valutate voi se il credito, o meglio la gestione delle sofferenze bancarie possa essere ricondotte a questa cornice normativa. Qui parliamo di cose tipo il servizio universale nelle poste, ed altri casi in cui il mercato non riesce a soddisfare i bisogni dei cittadini, e di conseguenza l’aiuto di stato è autorizzabile. Come diavolo sia possibile invocare la Sieg per costituire una società a capitale pubblico (o addirittura misto!) la cui missione dovrebbe essere quella di rimuovere le sofferenze dal bilancio delle banche senza causare minusvalenze alle banche medesime, resta un mistero buffo tutto italiano.

Ovviamente, sappiamo chi fornirebbe i soldini per questo accrocchio, come riporta il Messaggero:

«Queste Sieg sono capitalizzate con soldi pubblici, nello specifico si pensa alla Cdp per garantire gli aumenti di capitale delle banche. L’ordine di grandezza ipotizzata si aggira sui 6 miliardi. Nella garanzia si potrebbero coinvolgere investitori istituzionali di rango»

Ah, ecco. Ma non stiamo già parlando di Atlante, con questa definizione? E gli “investitori istituzionali di rango”, che di solito sono grettamente impegnati nella ricerca del profitto, dovrebbero entrare in una struttura giuridica la cui funzione originaria è quella di compensare fallimenti di mercato nella fornitura di servizi di interesse generale, come le comunicazioni ed il recapito della corrispondenza?

Noi davvero non sappiamo chi vada a mettere nella buca delle lettere dei giornali simili levate d’ingegno. Non capiamo se sono ballon d’essai, ed in caso affermativo chi sarebbero i destinatari del pizzino. L’impressione che ci resta è che, se queste sono realmente “ipotesi di lavoro” di fonte governativa, dalle parti di Chigi ci sono giuristi che dovrebbero lavorare stando lontani dall’alcool, oppure dovrebbero colmare rapidamente i loro debiti formativi. Perché questi fuochi d’artificio di follia sono altrettanti chiodi nella bara della credibilità internazionale di questo paese. Attendiamo nei prossimi giorni annunci sulla destinazione “mirata” dell’otto per mille alle banche.

Oppure, ideona: militarizziamo le banche per finalità di Difesa della Nazione, oppure assimiliamone il personale e le strutture alla protezione civile o ai carabinieri, per motivi di ordine pubblico: saremo già a metà dell’opera. Oppure diamo loro extraterritorialità e trattiamo i loro clienti come destinatari di aiuti alla cooperazione internazionale. Dopo di che, ci mancheranno solo i soldini pubblici per finanziare l’impresa. Ve l’ho detto che vado pazzo per i fallimenti ben riusciti. Quali altre meravigliose idee leggeremo sui giornali domani?

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