Giappone, il capolinea dietro la curva ripida

Dopo tre anni e mezzo di tentativi pressoché disperati e regolarmente frustrati di portare l’inflazione in un intorno del 2%, oggi la banca centrale giapponese ha estratto dal cilindro un nuovo coniglio geneticamente modificato, in quello che appare sempre più come un esperimento che rischia di finire molto male: credere che la politica monetaria sia onnipotente, soprattutto nella creatività.

L’antefatto è noto: la Bank of Japan ha ricevuto il mandato di realizzare la terza freccia dell’Abenomics: sradicare la “mentalità deflazionistica” del paese, e conseguire un tasso di inflazione “tradizionale” occidentale (dei tempi che furono, almeno in Europa), cioè di circa il 2%. A tal fine, la BoJ si ingegnò in una classica operazione di easing quantitativo, comprando titoli di stato; ma l’allentamento fu anche di tipo qualitativo, attraverso acquisto di Etf azionari e fondi immobiliari (J-Reits). La prima reazione dei mercati fu quella di affondare il cambio dello yen, provocando una fiammata inflazionistica da costi (delle importazioni) che qualche mattacchione, anche a Tokyo, tentò per lungo tempo di passare per inflazione da domanda. Anche qui da noi, in Italia, dove il provincialismo incontra l’ignoranza e vissero tutti felici e contenti, si levò alto il grido “facciamo come il Giappone!”.

Le cose si guastarono, e anche piuttosto in fretta, quando ci si rese conto che i salari base non aumentavano (perché crescevano solo i bonus dei lavoratori stabili), che le aziende giapponesi consideravano gli utili da deprezzamento dello yen del tutto transitori, e che i soggetti a reddito fisso quali i pensionati ed i precari di un mercato del lavoro fortemente duale venivano danneggiati dalla sia pur contenuta inflazione, subendo un calo dei redditi reali. Le cose andavano anche peggio per le piccole e medie imprese terziste delle grandi multinazionali, che importavano a carissimo prezzo causa deprezzamento dello yen e rivendevano ai committenti con margini fortemente assottigliati causa inesistente potere contrattuale. Ma soprattutto, quando ci si accorse che tentare l’inflazione da domanda in uno dei paesi più vecchi al mondo è un atto pressoché contro natura.

Questa fase di reviviscenza dell’inflazione da costi arrivò al capolinea a seguito della successiva stabilizzazione e rafforzamento dello yen, che durante le fasi di avversione al rischio continuava a fare quello che ha fatto per lustri: si rafforzava. In un’economia globale che non attende che un alibi per inscenare attacchi di panico, l’esito non poteva essere differente. In aggiunta al rallentamento cinese, che tagliava decimali alla crescita mondiale, ed a sua volta causava avversione al rischio. La piccola inflazione giapponese ridivenne deflazione, e la Bank of Japan ed il suo governatore, Haruhiko Kuroda, si trovarono ben presto con un problema non lieve di credibilità: se fissi una specie di cronoprogramma per arrivare all’agognato 2% di inflazione ma finisce a spingere il traguardo sempre più in là, il mercato inizia a guardarti storto. Ma Kuroda, da bravo banchiere centrale, era (ed è) convinto di venire subito dopo dio, e a volte anche prima: non fiat lux, quindi, ma fiat money.

E quindi, via coi tassi negativi a meno 0,10%, su una porzione delle riserve libere detenute dalle banche commerciali presso la banca centrale. Da qui al panico, il passo è stato breve. Soprattutto, al panico in Europa, dove le banche sono già alle prese con tassi negativi ed una redditività assai sofferente. A torto o a ragione, i mercati e gli analisti sono propensi a credere che quello che accade in Giappone finisce col riprodursi in Europa, vista percorrere lo stesso sentiero di dannazione del ventennio perduto nipponico. Visto il baccano e l’irrilevanza di tale mossa, il buon Kuroda ha pensato di rassicurare il mercato come ogni banchiere centrale che si rispetti: “non è finita, non avete idea di quante e quali armi disponiamo per riportare l’inflazione in queste lande”. Oggi, altro giro, altra trovata.

I tassi a breve potranno diventare ancora più negativi dell’attuale meno 0,10%; la banca centrale giapponese si impegna a comprare qualsiasi quantitativo di titoli di stato decennali posto in vendita per stabilizzarne il rendimento allo zero per cento attuale. Ma la stessa BoJ manda a dire al mercato che comprerà un po’ meno titoli di stato oltre la scadenza decennale. Il rendimento di questi ultimi, quindi, è destinato a crescere. E quindi?, direte voi. Quindi, per riepilogare: i tassi a breve potranno andare ancor più sotto lo zero, quello decennale resterà inchiodato a rendimento zero, a costo di passare le giornate a stampare moneta, e quelli a lunga scadenza avranno rendimento verosimilmente superiore all’attuale 0,5%. In tal modo, si argomenta, le banche potranno guadagnare dal loro portafoglio titoli a lunghissima scadenza e la loro redditività non soffrirà, pur in presenza di uno stimolo eccezionale e non convenzionale. Botte piena e moglie ubriaca: la morte dell’odiato tradeoff, una cosa che piacerebbe molto a noi italiani, a cui i tradeoff provocano notoriamente shock anafilattici. Al termine di questo rito voodoo avremo una curva dei rendimenti giapponese di forma ripida (cioè rendimenti a lunga scadenza molto superiori a quelli a breve scadenza), come serve alle banche per guadagnare. Peccato che la parte a breve termine con rendimento negativo non sia esattamente quello che prescrivono i libri di testo per permettere ai banchieri di fare soldi, però.

Perché no? Perché se i tassi a breve diverranno ancora più negativi, le banche saranno costrette a traslare il costo sui loro depositanti, persone fisiche ed imprese. Questo vuol dire tassi negativi sui depositi. Oppure, più sottile ma ancor più dannoso, tassi più alti sui prestiti. Non solo: poiché la curva dei rendimenti è attesa innalzarsi per scadenze oltre i dieci anni, che poi sono quelle di molti fidi, ecco una bella stretta creditizia, cacciata dalla porta, rientrare dalla finestra. Qualcuno ha detto “stimolo monetario”?

Per il momento (cioè oggi) la misura è piaciuta molto alle banche, in Giappone ed in Europa, dove le azioni del settore finanziario stanno mettendo a segno un robusto rialzo. Domani inizieranno ripensamenti e timori, ma chi vuol esser lieto sia. Tra qualche settimana, quando anche questa misura sarà risultata acqua fresca (ma radioattiva) rispetto allo sforzo di innalzare l’inflazione, Kuroda dirà che ha altre magie nella valigetta, ad esempio acquisti massivi di azioni, ben superiori agli attuali. Della prestidigitazione di oggi abbiamo il pomposo nome: “allentamento monetario qualitativo e quantitativo con controllo della curva dei rendimenti”. Stamane qualche spiritoso si è chiesto se non si trattasse dell’ultimo upgrade del software del pilota automatico della Tesla.

Nel frattempo, ci giunge l’eco delle domande del cugino giapponese di Forrest Gump:

«Scusate, ma perché portare l’inflazione al 2% ad ogni costo?»

Per ridurre l’onere reale del debito, Forrest San.

«Ah. Ma se il debito pubblico giapponese è sempre più in mano alla banca centrale, perché non cancellarlo con un tratto di penna e vedere che accade?»

Ottima domanda, Forrest San. Speriamo non se la pongano anche tutti gli altri cittadini giapponesi. Perché la moneta è come quell’antico spot della Galbani: vuol dire fiducia. Meglio non giocarci troppo.

P.S. Per una lettura più seria e “monetarista” dell’ultima trovata di Kuroda, leggete David Beckworth.

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