Disoccupati, esenzioni dal ticket o dal buonsenso?

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

quanti sono i disoccupati in Italia? E gli “scoraggiati”, quelli che non hanno un lavoro e nemmeno lo cercano? Come noto, l’Istat periodicamente si sforza di fornirci queste importantissime cifre, che sulla base delle ultime rilevazioni danno un numero di disoccupati poco superiore ai 2,9 milioni.

Gli “inattivi”, coloro, cioè, che pur essendo in età lavorativa non lavorano, sono riassunti dalla seguente tabella:

Inattivi.png

 

Di questa, interessano i dati riferiti a coloro che non cercano attivamente il lavoro ma sarebbero disponibili a lavorare (poco meno di 3 milioni), gli “scoraggiati” (1,646 milioni) e coloro che non lavorano e non cercano per “altri motivi” (1,422 milioni). Sommando queste grandezze, otteniamo circa 6 milioni di persone che risultano prive di occupazione, ma tecnicamente non sono “disoccupati”. Perché?

Uno tra i meriti del Jobs Act è aver chiarito meglio proprio lo status dei disoccupati, che sono esclusivamente

«I soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all’articolo 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego» (articolo 19, comma 1, del d.lgs 150/2015)

Dunque, caro Titolare, per essere tecnicamente disoccupato e risultare, quindi, nella schiera delle circa 3 milioni di persone che cercano lavoro, occorre, oltre a non avere un lavoro, anche aver dichiarato “ufficialmente” ai servizi per il lavoro di essere disponibili a cercarlo e a partecipare a iniziative di politica attiva (colloqui di orientamento, tirocini, iniziative formative, moduli di accompagnamento al lavoro con o senza doti finanziarie, come ad esempio l’Assegno di ricollocazione o Garanzia giovani).

Ma, siamo proprio sicuri che tutti coloro che rilasciano la dichiarazione di immediata disponibilità alla ricerca di lavoro abbiano realmente l’intenzione di lavorare e che, dunque, i dati rilevati siano corretti? C’è un “baco” nel sistema, derivante dalle modalità di esenzione dal pagamento di alcune tasse o contributi per prestazioni sociali: dal ticket sanitario ai contributi comunali per aiuti vari alle persone in stato di bisogno.

Da anni si trascina un problema: il sistema sanitario nazionale, i comuni e gli altri enti competenti a rilasciare esenzioni dal pagamenti di questi ticket, chiedono la dimostrazione dello stato di disoccupazione.

Questo induce, da sempre, moltissime persone, per nulla intenzionate in realtà a cercare lavoro, a rilasciare ai centri per l’impiego la dichiarazione di immediata disponibilità. Con effetti visibilmente negativi: il rigonfiamento della quantità di persone che risultano formalmente disoccupate, l’estensione della proposta di politiche attive a soggetti disinteressati, l’attivazione di un irrazionale sistema di inserimento e cancellazione dalle liste (in caso di rifiuto di proposte di politica attiva) e, soprattutto, un contributo decisivo alla deprecata eccessiva funzione amministrativa e certificativa dei centri per l’impiego.

Invero, il Jobs Act ha inteso risolvere anche questo problema, con una disposizione (articolo 19, comma 7, del d.lgs 150/2015) che più chiara non potrebbe essere:

«Allo scopo di evitare l’ingiustificata registrazione come disoccupato da parte di soggetti non disponibili allo svolgimento dell’attività lavorativa, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le norme nazionali o regionali ed i regolamenti comunali che condizionano prestazioni di carattere sociale allo stato di disoccupazione si intendono riferite alla condizione di non occupazione»

Quindi la normativa sul lavoro impone di interpretare qualsiasi altra legge e fonte che richiedano quale condizione per le prestazioni assistenziali lo stato di disoccupazione, nel senso che basti dichiarare l’attuale mancanza di lavoro.

Come dice, Titolare? Un’idea semplicissima, che ha sicuramente risolto i problemi? Magari. Nel Paese involontariamente descritto da Kafka, accade troppo spesso che le leggi di semplificazione per lo più complicano o quando, per caso, riescono davvero a semplificare, vengono tranquillamente violate.

Dunque, il Ministero della salute illustrando le esenzioni per il reddito, fornisce indicazioni totalmente contrarie a quanto prevede il Jobs Act, prevedendo espressamente che tra le categorie esenti vi siano i “disoccupati”, non mancando di precisare che “Il termine ‘disoccupato’ è riferito esclusivamente al cittadino che abbia cessato per qualunque motivo (licenziamento, dimissioni, cessazione di un rapporto a tempo determinato) un’attività di lavoro dipendente e sia iscritto al Centro per l’impiego in attesa di nuova occupazione”.

Naturalmente il risultato è kafkiano: gli enti del servizio sanitario nazionale non assicurano l’esenzione dal ticket a chi non risulti formalmente disoccupato, anche se questi magari (proprio per ragioni di salute) non ha la minima intenzione di lavorare; dunque, costui fa la transumanza tra un ufficio della Asl ed un centro per l’impiego, che appurando la finalizzazione della richiesta di “iscrizione” non dovrebbe iscriverlo; ma, se l’interessato all’esenzione, però, dichiara di voler cercare lavoro, allora il centro per l’impiego deve comunque iscriverlo per poi sottoporgli politiche attive destinate al rifiuto e successivamente cancellarlo. Facile immaginare i costi in termini di lavoro poco produttivamente svolto e tempo impiegato, anche da parte dei cittadini.

Quanti sono i “disoccupati” iscritti “ingiustificatamente” per la sola ragione di chiedere esenzioni dal ticket? Non è un dato tracciabile, dunque non lo sappiamo, ma sicuramente sono moltissimi, difficilmente meno del 15 per cento del totale.

Gli enti del servizio sanitario difendono l’aperta violazione della normativa, affermandone la poca chiarezza: essa, infatti, parla di “prestazioni sociali” e non di “prestazioni sanitarie”. Come se l’esenzione dal ticket fosse una cura medica, un presidio sanitario, un esame di laboratorio e non quello che è: una prestazione puramente e semplicemente “sociale”, finalizzata ad aiutare chi non dispone di un reddito minimo a ricevere appunto prestazioni sanitarie.

Così, mentre le norme continuano a risultare scritte sulla sabbia o considerate, al più, come consigli non vincolanti, Kafka regna sovrano.

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