Il frastuono di promesse psichedeliche che accompagna la campagna elettorale siciliana è solo la prova generale di quanto ci attende alle politiche del prossimo anno. Una regione fallita da molti anni diventa il “laboratorio” dove si producono narrazioni sempre più inverosimili. Quello che colpisce è il ritorno del maggior narratore dell’ultimo quarto di secolo, protagonista di una stagione di fallimenti che oggi qualcuno rivive con nostalgia, stante l’inesorabile logoramento che la realtà esercita sul paese.
Parliamo ovviamente del ritorno di Silvio Berlusconi, che in realtà mai se ne era andato. Le sue “proposte” elettorali sono da sempre quelle: meno tasse per tutti, più pensioni, più spesa pubblica. Eppure, malgrado il crash a cui l’ex premier ha presieduto, anni addietro, il suo “messaggio” è sempre attraente, anzi lo è di più.
Questo accade proprio perché pare che gli italiani, a grande maggioranza, tendano ad autoassolversi mentre assolvono i propri rappresentanti politici. La colpa è sempre esterna al sistema nazionale. Non sorprende che gli italiani siano il popolo che ha il peggior giudizio sulla Ue. Perché hanno ricevuto e continuano a ricevere un bel lavaggio del cervello, su una corteccia cerebrale ben predisposta: all’inizio era “ce lo chiede l’Europa”, un modo per superare resistenze domestiche ma presentato costruttivamente, una sorta di ipse dixit per il nostro bene.
Fatale che un messaggio che nasce in questi termini divenga il perfetto capro espiatorio quando le cose peggiorano: “ce lo ha chiesto l’Europa, ecco di chi è la colpa!”. Stesso messaggio, alla fine. E via, tutti dietro allo spaventapasseri europeo: politica, sindacato, media, grandi imprese. Nessuno afferra che un paese è e resta padrone del proprio destino, per azioni ed omissioni, ma è certamente più confortevole trovare un capro espiatorio esterno. La nostalgia del passato, un passato mai realmente esistito nella rappresentazione che ne viene data oggi, fa il resto.
E quindi, arieccovi Berlusconi. Col suo spin mediatico, la sua sempiterna “rivoluzione liberale”, i suoi “ministri non politici, ma presi dalla società civile”, i suoi house organ aziendali ormai campioni mondiali di Photoshop che ad ogni fine estate ci informano delle sue miracolose diete disintossicanti, il vero messaggio politico al paese, la “rigenerazione”, che tuttavia non riesce ad occultarne l’inesorabile invecchiamento.
Un grottesco Dorian Gray che continua ad avere un ampio mercato in Italia e che può quindi sfidare le “nuove leve” dell’affabulazione demagogica: i grillini soprattutto ma anche Matteo Renzi, che si muove maggiormente sul piano della realtà ma è spesso costretto ad inseguire le altrui sparate, e questo lo pone ad oggettivo handicap perché, tra l’originale e l’imitazione (del demagogo), il cliente sceglie sempre l’originale.
Interessante comunque notare che i mercati per ora non si stanno scomponendo, anzi hanno sin qui premiato il dato di crescita italiana determinando una compressione dello spread, malgrado i nostri problemi siano tutti sul tavolo, o sul tappeto, e non sotto, come invece preferirebbero in molti. Forse i mercati sono fortemente miopi, oppure sono convinti che alla fine l’Italia verrà contenuta e disciplinata per linee esterne, che poi sarebbe il vincolo di realtà. Un parlamento appeso farà il resto, consentendo alle parti di continuare a rappresentare la terra promessa da raggiungere, se solo ci si sforzasse di credere, obbedire, combattere.
Possiamo quindi ipotizzare che il confronto politico domestico sia ormai pura rappresentazione simbolica, in cui gruppi fintamente avversari si affannano a competere per la possibilità di governare quanto rimane disponibile per la spoliazione (sempre meno, a dire il vero). Per tutto il resto, c’è il vincolo di realtà. Ma è desolante vedere come un soggetto ormai morto (Berlusconi), pionieristico costruttore della camera dell’eco di un paese autoingannato, mostri ben più vitalità di altri, che appaiono come dei giovani non-vivi, impegnati ad imitarlo.