Su Repubblica, un articolo di Vittoria Puledda ci ricorda come è facile scottarsi in questo paese, quando si tratta di risparmio. Se poi combiniamo i concetti di risparmio ed immobili, la probabilità di avere ustioni severe si impenna. Perché gli italiani sono fatti così: vanno pazzi per il mattone, anche se del medesimo capiscono poco e nulla ma qualcuno ha detto loro, assieme alle prime poppate, che l’investimento immobiliare è “sicuro” e tende a rivalutarsi col tempo. Auspicabile che ormai questa leggenda sia stata consegnata alla storia, ma questa che vi racconto oggi è quella che gli anglosassoni chiamerebbero cautionary tale rispetto alla rinascita del “risparmio immobiliare” sotto nuove ed esentasse spoglie.
Oggi è l’ultimo giorno di contrattazione borsistica per quattro fondi immobiliari, collocati presso i risparmiatori tra il 2002 ed il 2005, in quote “popolari” da 2.500 euro l’una. Tra i collocatori, un ruolo di tutto rilievo lo ricoprì Poste italiane, all’epoca guidate da Massimo Sarmi. Il meccanismo di questi fondi era piuttosto semplice: raccogliere risparmio, investirlo in immobili e cercare di realizzare una plusvalenza da distribuire ai risparmiatori al momento della liquidazione del fondo, cioè della vendita degli immobili in esso contenuti. Non prima di aver addentato una bella quota di risparmio a titolo di commissione di gestione, s’intende. Ah, tali commissioni erano prelevate “a prescindere” dall’andamento del fondo: precisazione oziosa.
Se volete leggere come si è sviluppata la vicenda in questi oltre quindici anni, questo articolo fa per voi. Tra gli azionisti delle società di gestione immobiliare troverete tanti “bei nomi” del credito in Italia, tra cui banche che nel frattempo sono morte o risorte sotto nuova proprietà, dopo accurata ripulitura. Con i fondi la sòla, come direbbero a Roma, era consegnata ai risparmiatori ma alcune di queste banche, prese da frenesia del trading immobiliare (una delle piaghe storiche di questo paese, dall’Unità ad oggi), si sono fatte rovinare l’edificio sulla testa. Quella dei contribuenti e dei risparmiatori, soprattutto.
Citiamo dall’articolo sopra linkato:
«I motivi della debacle sono semplici. I fondi immobiliari raccolgono i capitali dai risparmiatori attraverso la vendita di quote e con il ricavato comprano palazzi: a volte li ristrutturano per poi venderli a un prezzo più elevato, a volte li rivendono dopo averli messi in affitto. Se le vendite e gli affitti vanno bene, i proventi vengono distribuiti o accumulati per aumentare il valore delle quote. Diversamente, si registrano perdite. Per portare a termine la propria missione il fondo ha 10 anni di tempo, ma in caso di difficoltà la società che li gestisce applica una proroga»
Vedete quanto è semplice, da spiegare e da capire? La magia risiede nella valutazione peritale su asset assai poco liquidi quali gli immobili. Un giochino che, ripetiamolo, in questo paese dura da svariati decenni e che assai poco c’entra con gli esiti della Grande Crisi degli ultimi anni. Ma che ve lo dico a fare? Già sento in sottofondo il solito scemo intonare “se avessimo avuto la lira, non sarebbe successo!”. Ma non è di questo che voglio parlarvi, oggi.
Come detto, tra i collocatori più attivi di questi fondi vi era Poste italiane, poi costretta (sotto la guida dell’incolpevole Francesco Caio) a rifondere i risparmiatori traditi, che lamentavano perdite sino al 60%. Leggiamo quindi dall’articolo di Puledda di oggi:
«[…] il fondo peggiore del gruppetto attuale, Europa immobiliare 1 (Vegagest) è stato distribuito principalmente da Poste italiane nel 2004, quando ad era Massimo Sarmi: strumenti collocati allo sportello e anche solo per questo percepiti come “sicuri” dalla clientela, abituata a considerare l’ufficio postale come il massimo dell’affidabilità. Ebbene, questo fondo tra qualche mese verrà definitivamente liquidato e, facendo una serie di stime e proiezioni che poi andranno confermate dal gestore del fondo (gli immobili venduti nelle ultime settimane, la forte liquidità presente nel fondo, le spese di chiusura e le commissioni, difficili ora da valutare), Europa Immobiliare potrebbe chiudere con una perdita intorno ad un quarto del proprio valore»
È tuttavia andata meglio che al fondo Obelisco (sic), che al momento avrebbe una perdita teorica dell’80% circa. Anche il successore di Caio a Poste, Matteo Del Fante, medita di porre mano al portafoglio ed attuare il “ristoro” dei risparmiatori, per la gioia degli attuali azionisti di Poste, inclusi molti altri piccoli risparmiatori che certamente avranno letto le centinaia di pagine del prospetto di collocamento azionario e non saranno quindi colti di sorpresa dalla contingent liability che sta materializzandosi. O no?
Però, allegri: alcuni fondi immobiliari sono “andati bene”:
«Andamento positivo invece per l’altro fondo gestito da Dea Capital – Beta – e per il fondo Tecla di Prelios: in entrambi i casi il bilancio dalla quotazione, sempre nel 2004, segna un guadagno complessivo superiore al 40%. Ma anche per loro valgono i punti deboli dei fondi: scarsissima liquidità, necessità di vendere il patrimonio a scadenza – e quindi di essere esposti al rischio di svendere – potenziali conflitti di interesse nella fase iniziale dell’apporto degli immobili. Non a caso, il fondo Beta ha venduto gli ultimi immobili in portafoglio tagliando drasticamente sul prezzo: gli ultimi quattro sono stati ceduti con uno sconto di circa il 35% rispetto al valore di libro al 30 giugno scorso mentre la vendita dell’immobile di Latina è avvenuta a circa il 40% sotto il valore stimato sei mesi fa»
Tu pensa il destino cinico e baro: un vero crollo delle quotazioni in sei mesi. Proprio coincidenze funeste. In queste valutazioni massacrate c’è un’aria di famiglia: con le sofferenze garantite da immobili. Ma sì, quelle le cui garanzie “coprono abbondantemente il prestito”, come ci dicono instancabilmente il governatore di Bankitalia, il presidente dell’Abi e molti editorialisti di sistema. Serve solo tempo e amore e le quotazioni si risollevano, orsù.
Come che sia, archiviamo anche questo esperimento di impiego del risparmio, ed attendiamo fiduciosi il prossimo dello stesso ceppo: l’estensione agli investimenti immobiliari dei piani individuali di risparmio, per gli amici Pir. La leva per sollevare il mondo o almeno l’Italia, come ci viene quotidianamente rammentato dai dorsi specializzati in economia ed investimenti dei nostri quotidiani. E nessuno osi dubitare di questa rivoluzione. Almeno sino al prossimo crack. Per ora, riprende la festa per periti, banche e collocatori. Il paese che nulla impara dalla propria storia, è condannato a ripeterla.