Si moltiplicano le voci di un’entrata a regime molto differita delle principali misure della legge di Bilancio 2019. Secondo gli astutissimi gialloverdi, ciò sarebbe necessario per “tranquillizzare” gli investitori e rabbonire la Commissione europea, che a breve lancerà contro l’Italia una procedura per debito eccessivo. Se tali voci fossero confermate, il rallentamento di implementazione sarebbe la plastica rappresentazione di una politica economica demenziale e finalizzata solo al voto di scambio alle elezioni europee, a cui i nostri scappati di casa cercano disperatamente di arrivare.
Ad esempio, oggi sul Sole Marco Rogari e Gianni Trovati spiegano le verosimili intenzioni dell’esecutivo italiano, per il quale quel famoso 2,4% di deficit-Pil sarebbe in realtà ben inferiore:
«Per “quota l00” il tempo di attesa per gli statali, che coprono il 40% della platea, può allungarsi a 9 mesi, spostando al 2020 una parte di spesa, e anche nel privato i tagli all’assegno imposti dal contributivo e il divieto di cumulo potrebbero dissuadere una parte degli interessati. La spesa, allora, potrebbe attestarsi intorno ai 3 miliardi invece dei 6,7 messi in programma. E anche sul reddito di cittadinanza più lento rispetto all’ambizione targata M5S potrebbe ridurre il conto da 9 a 7 miliardi. Da qui, più che dalla spending timida messa in manovra, potrebbero arrivare risparmi per due decimi di Pii che porterebbero il deficit “effettivo” al 2%»
Al deficit “effettivo” al 2% si giunge considerando che il ministro Giovanni Tria non avrebbe inserito nel progetto di bilancio gli “effetti di retroazione” della fantasmagorica crescita all’1,5% stimata nel 2019, cioè l’aumento di gettito fiscale da essa indotto, che sarebbe di circa lo 0,2% del Pil. Abbiamo anche il tesoretto virtuale! Ma non è meraviglioso, tutto ciò?
Quindi, vediamo: si lanciano due misure epocali di crescita, cioè la rendita di nullafacenza, che deve sostenere i consumi, e la “staffetta generazionale” stimolata dal ritorno delle pensioni di anzianità (certo, certo), però si fa di tutto per limitarne l’impatto sui conti del 2019 e per disincentivarne la fruizione, perché altrimenti i conti saltano. Ma allora, scusate, in che modo si produrrebbe la potente azione di stimolo per contrastare il rallentamento, di cui parlava ieri anche il premier John Doe Giuseppe Conte? Ah, saperlo. E tuttavia, sia chiaro: il 2,4% non si tocca, perché siamo sovrani.
Sembra un’applicazione del pensiero di Sant’Agostino: andiamo di fretta ma non così di fretta. Adottiamo misure strutturali che faranno esplodere il debito e crollare l’offerta di lavoro ma non subito, ché sennò gli investitori e la Commissione Ue potrebbero alzare il sopracciglio, mentre così non se ne accorgeranno (questa è ironica, mi raccomando). L’importante è iniziare a lanciare monetine alla plebe festante un attimo prima delle elezioni europee di maggio, però. Dopo aver vinto quelle, vedremo. Quando il voto di scambio incontra l’Armata Brancaleone. Ma sono certo che, nel corso della “interlocuzione” con la Commissione Ue, il governo italiano riuscirà ad affermare che l’effetto espansivo della manovra ritardata si produrrà da subito, grazie al drastico cambiamento di aspettative da essa suscitato.
Nel frattempo, sono stati pubblicati i dati sul mercato italiano del lavoro a settembre, e non sono buone notizie. Oltre alla risalita della disoccupazione sopra la soglia della doppia cifra (a 10,1%), nel mese ci sono 36 mila occupati in meno, di cui ben 77 mila sono a tempo indeterminato, mentre i contratti a termine sono aumentati di 27 mila unità. Come commentare, quindi? Che un solo dato non fa una tendenza ma pare che, dopo le vacanze, qualcuno non abbia riaperto i battenti. Il decreto dignità, fortemente voluto dal borboncino Giggino (nel senso di piccolo borbonico, non è un typo), convinto che il lavoro si crei per decreto, sta dispiegando tutti i suoi potenti effetti di disincentivo al lavoro precario. Giusto? Ah no, aspetta…hai visto mai che le stime dell’odiato tecnocrate Tito Boeri fossero sbagliate per difetto?