La Forza Lavoro italiana e l’algoritmo di scambio

In caso vi fosse sfuggito, ieri il vice premier e bisministro Luigi Di Maio ha illustrato le linee guida della riforma dei centri per l’impiego e del reddito di cittadinanza. Più o meno tutto come da attese, spunti comici inclusi. Resta da capire dove finisca l’ignoranza specifica sul funzionamento del mercato del lavoro e dove inizi la furbizia politica della ricerca della forma definitiva del voto di scambio.

Osserviamo innanzitutto che vi è la ripresa della filosofia dell’assegno di ricollocazione, che sin qui ha avuto scarso successo. Sostiene Di Maio:

«II momento cruciale è la proposta di lavoro. Se sarà l’agenzia privata a trovare la proposta giusta, sarà compensata con il triplo di 780 euro. Se sarà il Centro pubblico, sarà l’impresa che assume il lavoratore ad avere lo stesso bonus: 780 euro moltiplicati per tre»

Ovviamente servirà capire sotto quali condizioni e per quali impieghi, perché il rischio di frodi è sempre dietro l’angolo. Ma è comunque interessante che Di Maio (o chi gli suggerisce le battute) consideri una “integrazione” tra i centri pubblici per l’impiego e le agenzie private. Il prossimo passo dovrebbe essere quello di comprendere che il lavoro può essere svolto esclusivamente da privati sotto convenzione pubblica e che i centri per l’impiego servono a poco e nulla, se parliamo solo di mercato del lavoro e non anche di implementazione di politiche sociali. E le due dimensioni non stanno assieme agevolmente.

Seguono altri precetti, del tipo:

«Tutti quelli che avranno il Reddito dovranno essere formati sulla base delle tendenze di mercato che andranno verificate regione per regione»

Quindi, se volete fare i domatori di pulci in una regione in cui la domanda per quella “professionalità” non esiste, dovrete rassegnarvi. Siamo a vette altissime. Segue il momento abracadabra: “mettere in rete” le imprese con i centri per l’impiego in soli tre mesi, «grazie alla collaborazione del professor Mimmo Parisi dell’università del Mississippi».

Parisi, spiega Di Maio,

«è un pugliese emigrato trent’anni fa e pronto a tornare. Ha realizzato negli Stati Uniti un software in grado di verificare le capacità di ciascuna persona che andremo formando. L’azienda che cerca personale potrà verificare in tempo reale il livello di formazione che sarà progressivamente raggiunto dai candidati. Il software già è disponibile e viene controllato dall’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro»

Dovete sapere che Giggino è convinto che il lavoro scarseggi a causa di un rilevante mismatch informativo tra domanda e offerta di lavoro, e che lui sia giunto sulla terra ed in Italia con la missione di chiudere questo gap. Poi, va da sé, se abbiamo questo magico software del prestigioso expat di turno, che permette di verificare il progresso nella formazione (non è chiaro erogata da chi, e in che modo), ecco che, dopo quello informativo, anche ogni skills mismatch scompare d’incanto. Quando il candidato è in “cottura formativa”, l’azienda potrà ordinarlo “al sangue” o “ben cotto”, in pratica.

Di Maio ha poi le idee molto chiare anche sul mercato del lavoro in zone difficili del paese. Ad esempio, nel Mezzogiorno, a suo avviso i posti di lavoro sono

«[…] molti di più di quelli che si percepiscono. Tutti quelli che cercano lavoro, dagli inoccupati agli inattivi che non si sono mai iscritti alle liste del vecchio collocamento, dovranno iscriversi a Forza Lavoro Italiana. Su una platea di sei milioni di persone titolate ad avere diritto, prevediamo che arrivino il doppio di domande. Dovremo quindi scremare. Ai candidati forniremo il percorso, il software li aiuterà nella ricerca e un tutor li orienterà nella scelta»

Andiamo con ordine. Intanto, abbiamo i “posti di lavoro percepiti”, un po’ come la temperatura. Sarebbe utile segnalare a Di Maio che qui siamo dal versante della offerta di lavoro, e quindi non possiamo parlare di “posti di lavoro”, se la domanda (quella  che proviene dalle aziende) non c’è. Ma sono dettagli. Nell’impianto della proposta si colgono gli antichi espedienti alla base dell’idea di reddito di cittadinanza, che erano stati suggeriti dal professor Pasquale Tridico. Spingere le persone a iscriversi in massa al collocamento, fare aumentare per questa via il numero di disoccupati, sostenere che in questo modo l’output gap sarebbe più ampio delle stime, chiedere di conseguenza più flessibilità sul deficit e distribuire le mancette a quante più persone possibili. Ma c’è anche un aspetto positivo: le famose ore di attività socialmente utili prestate a favore della comunità saranno determinanti per includere i rentier di cittadinanza tra gli occupati. Avremo risolto ogni problema con questo moto perpetuo, in pratica.

Poi, si crea questa entità non meglio precisata ma dal potente simbolismo: Forza Lavoro Italiana. Un ibrido tra marxismo e Orwell, e pure disposta a testuggine, pare. Tutti marceranno come un sol’uomo ad iscriversi per poter incassare la mancia di cittadinanza. Anche il nonno paralitico ed il gatto di casa che ne spinge la sedia a rotelle. Avremo un boom di partecipazione alla forza lavoro. Dodici milioni di candidati, pensate. E quindi, dovremo “scremare”. Ma in che modo, con una lotteria? Un bel click day?

Lo scopriremo. Per ora, pensate al paese felice dove milioni di persone prendono i loro 780 euro mensili e multipli per scala di equivalenza familiare, e si presentano tutti dal loro tutor, che col prodigioso software del professor Mimmo dal Mississippi legge loro la mano e predice il futuro. “Cosa vuoi essere, oggi? In questo preciso momento c’è domanda di cuochi, ma da stamattina è entrato nella top ten il derattizzatore, e ieri avevamo sul podio il parcheggiatore abusivo. Però guarda che devi decidere in fretta, perché dobbiamo prima formarti. Vediamo se per quando sarai pronto avremo altre richieste”.

Vado pazzo per gli algoritmi ben riusciti. Ed anche per il provincialismo italiano, che prende esperienze da contesti estremamente differenti, sul piano sociale, economico e culturale, vede causalità che spesso sono solo correlazioni, e cerca di applicarle alla realtà domestica. Al punto da far comparire anche la domanda di lavoro in zone dove la domanda non c’è. Salvo scoprire, un giorno lontano, che l’idea dell’accademico era orientata a cose del tutto differenti, e soprattutto a prevenire gli skills mismatch in un’ottica di medio-lungo periodo. Vaste programme pure quello ma non è ora il momento in cui discuterne.

La più grande operazione di voto di scambio nella storia italiana, travestita da fiaba distopica. Finirà in tragedia, ma almeno avremo fatto rosicare gli sceneggiatori di Black Mirror.

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