Argentina, i mercati nella cristalleria

L’ultima volta che ho scritto di Argentina è stato quasi un anno addietro. Dopo il maxi prestito del Fondo Monetario Internazionale, concesso sotto gli auspici di Christine Lagarde e di una rinnovata valenza “sociale” dell’azione del Fondo (una cosa tipo “austerità, ma dolce”), la situazione non è migliorata. O meglio, i conti pubblici si sono più o meno raddrizzati, ma l’opinione pubblica non ha gradito il persistere di una condizione piuttosto misera.

E quindi, le primarie presidenziali hanno visto il trionfo del ticket Fernandez & Fernandez (nessuna parentela), con la ex presidente nel ruolo di vice, sul ticket del presidente Mauricio Macri, con un distacco di 15 punti percentuali.

Non più tardi di inizio luglio, il FMI aveva detto che le riforme poste come condizione per il maxi prestito di 57 miliardi di dollari stavano procedendo bene. Ma evidentemente non abbastanza bene per la popolazione, alle prese con un’inflazione del 50% ed un crollo del potere d’acquisto.

Come ho scritto in passato, Macri ha cercato di rimediare alle follie di politica economica di Cristina Fernandez de Kirchner in modo solo graduale, per non infliggere ulteriori sofferenze alla popolazione. Il suo profilo pro market, la sostanziale chiusura delle pratiche di monetizzazione del deficit da parte della banca centrale e la soluzione della controversia con i creditori internazionali sui precedenti default gli sono valsi l'”amicizia” ed il credito degli investitori internazionali, consentendogli di emettere molto debito in dollari, con cui fare fronte ad esigenze domestiche anziché procedere da subito a procurarsi le risorse necessarie con una terapia “a doccia fredda” fatta di stretta fiscale, con rimozione dei sussidi, e forti aumenti dei tassi d’interesse domestici.

Questo gradualismo, come segnalavo lo scorso anno, non ha pagato. La progressiva eliminazione dei pesantissimi sussidi ai servizi di pubblica utilità, che si mangiavano ampia parte del bilancio pubblico, ha causato una elevata e persistente inflazione, vanificando le spinte disinflazionistiche della fine della monetizzazione del deficit. Lo scorso anno, il rialzo dei rendimenti sul dollaro aveva già destabilizzato il peso, spingendo la banca centrale prima a stringere e poi a rilassare le condizioni monetarie, perdendo credibilità. Poi, la spugna gettata e la richiesta di aiuto al FMI, perché la fame di dollari resta tanta.

Perché il violentissimo crollo di ieri degli asset argentini, quindi? A livello qualitativo, perché si teme il ritorno del populismo alla Kirchner, che significa solo una cosa: default sul debito estero. Ma la magnitudine deriva dal fatto che l’Argentina, sotto Macri, è tornata ad inserirsi nei circuiti finanziari internazionali, da cui era stata posta in quarantena durante il regno della Presidenta. E quando si muovono quelli, nel bene o nel male, gli ordini di grandezza sono elevati. Un vero elefante, per giunta impazzito, nella cristalleria.

Il risveglio dei mercati, quindi, è stato quello di chi prende improvvisamente coscienza che un nuovo default sul debito potrebbe essere molto prossimo. Ed anche quello di chi si era fidato di “previsioni” di banche d’affari che vedevano Macri in sostanziale rimonta verso Fernandez.

Ribadiamo il punto centrale: si emette debito in valuta quando si vogliono reperire risorse sui mercati internazionali, e perché gli investitori non si fidano di sottoscrivere debito in valuta locale. È quello che ha potuto fare Macri, grazie alle sue credenziali market friendly. Ma la realtà serve a mettere i bastoni tra le ruote ai grandi disegni dei politici.

Al momento non è dato sapere cosa esattamente voglia fare Alberto Fernandez, già capo di gabinetto nel governo di Nestor Kirchner e candidato presidenziale alle elezioni del 27 ottobre. Tra le altre cose, ha detto di non voler reintrodurre controlli sui capitali e che serve rinegoziare gli accordi col FMI, oltre ad accusare Macri di essere responsabile della crisi per aver creato troppo debito estero.

Ma il sospetto che egli possa essere una figurina nella mani di Cristina Fernandez de Kirchner è forte. Ed è opportuno ricordare che la signora ha risposto al deterioramento dell’economia argentina con controlli sui capitali, monetizzazione del deficit, repressione delle importazioni per preservare valuta, nazionalizzazione dei fondi pensione, manipolazione delle statistiche economiche nazionali. Il pedigree è di quelli che piacerebbero a non pochi leaderini politici italiani.

La saga argentina su Phastidio

È perfettamente inutile prendersela con la popolazione, se la medesima soffre allo stesso modo in cui soffriva sotto la Kirchner. Sarebbe altrettanto facile affermare che esistono paesi in cui demagogia e populismo sono il tratto culturale dominante, e quindi i disastri sono destinati a ripetersi. Questo potrebbe essere un giudizio superficiale, oppure la banale descrizione della realtà, visto che l’Argentina è un defaulter seriale. Ma già, che sbadato, è una chiara vittima del brutale capitalismo globale. O no?

Ma ribadiamolo: ieri il mondo è tornato ad accorgersi dell’Argentina e dei suoi problemi perché il debito argentino è tornato nei portafogli degli investitori internazionali. Affermando ciò non sto suggerendo che serva star fuori dai mercati, anche perché credo non sarebbe neppure possibile, con buona pace di chi crede il contrario.

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