Sul Foglio compare una lettera al direttore firmata dall’ex ministro del Bilancio della Prima Repubblica, al secolo Paolo Cirino Pomicino. Anzi, ‘O Ministro, come era noto all’epoca. In essa, Pomicino critica la debolezza della Nota di aggiornamento al DEF (per gli amici, NaDEF), che trova priva di coraggio. E poiché l’ex ministro, per sua ammissione, non appartiene alla categoria dei “critici permanenti” ma “si impone” di far seguire la pars destruens dalla pars construens, ecco la sua ricettina appena sfornata.
Spoiler: nulla di inedito, tutto riconducibile alla nota ingegneria finanziaria per disperati, sezione “come ti abbatto il debito vendendo il patrimonio immobiliare pubblico”, di cui abbiamo ormai sterminata letteratura, quasi tutta centrata su vincoli di portafoglio ed altre azioni variamente cogenti. Poiché ogni anno gli italiani hanno sul groppone 65-70 miliardi di euro di interessi passivi sul debito pubblico, ecco cosa fare, secondo ‘O Ministro:
[…] bisogna chiedere ai fondi pensione e alle casse previdenziali che hanno un patrimonio di oltre 200 miliardi di euro e che reinvestono ogni anno tra i 100 e i 120 miliardi di impegnare per 5 anni il 20 per cento dei propri investimenti per acquistare immobili statali o utilizzati dalla Pubblica amministrazione o comunque messi a reddito in maniera da avere 100 miliardi in 5 anni che al sesto anno metterebbero sui conti pubblici una spesa corrente di 3-4 miliardi, lasciando così che gli oneri di locazione per i primi cinque anni siano posti sulle spalle del ricavato dalla vendita.
C’è da dire che la prosa di Pomicino è molto austera, nel senso che tende a realizzare un feroce risparmio di virgole. Non provate quindi a leggere a voce alta questo paragrafo o rischiate l’ipossia, che potrebbe quindi spingervi ad avanzare bislacche proposte per ridurre lo stock di debito. Proviamo a decodificare.
Allora: i fondi pensione devono mettere soldi negli immobili pubblici, per almeno un quinquennio. Come dite? I fondi pensione e le casse professionali stanno solo ora faticosamente tentando di disintossicarsi dalla loro dipendenza dagli immobili italiani, e di diversificare i loro attivi finanziari? Eh, pazienza: qui è la Patria che chiama, non è tempo di ubbie da gestori di portafoglio. Puah.
Proseguiamo: che minkia diavolo vuol dire “mettere sui conti pubblici una spesa corrente di 3-4 miliardi di euro, lasciando così che gli oneri di locazione per i primi cinque anni siano posti sulle spalle del ricavato della vendita?” Forse che gli immobili pubblici così ceduti non generavano reddito, cioè affitti, ma solo oneri netti? Possibile, ma se le cose stanno in questi termini, delle due l’una: o ci sono gli estremi per pesanti azioni della Corte dei conti per danno erariale, oppure servono dei “privati” da “costringere” a buttare soldi dei loro iscritti in immobili infruttiferi.
Quale è l’interpretazione corretta, quindi, dottor Pomicino? Come che sia, l’autore parla di “spesa corrente”. Quindi col ricavato delle dismissioni abbattiamo il debito, e con la minor spesa per interessi facciamo “spesa corrente”, par di capire. Ma non è meraviglioso, tutto ciò? E tuttavia, sarà pure meraviglioso ma non basta, e figuriamoci: 3-4 miliardi in cinque anni! Pomicino ne è pienamente consapevole:
[…] pertanto bisognerebbe discutere anche con la ricchezza nazionale di come raddrizzare le sorti del paese lasciando da parte ogni ipotesi di patrimoniale che sarebbe fortemente recessiva. La ricchezza nazionale sa che concorrendo a salvare il paese salverebbe anche se stessa in un rapporto dialogante con il governo e con il Parlamento.
Oh, stupendo! Allora: ci mettiamo attorno ad un tavolo con ‘sta “Ricchezza Nazionale” (salve!), e le diciamo: “che bella roba che tieni, sarebbe un peccato se le accadesse qualcosa di male”. Niente patrimoniale, sia chiaro. Solo un’offerta che la sopracitata “Ricchezza Nazionale” non potrebbe rifiutare, aiutandola a togliersi dalla testa tutte quelle strane idee sulla diversificazione internazionale del portafoglio. Robaccia ideologica che, quando era vietata (bei tempi, eh, dottor Pomicino?), permetteva di finanziare il debito pubblico italiano con una sola mano.
Sì, ma come farlo? Beh, quello spetta alla politica, con la maiuscola:
[…] una politica con la “P” maiuscola conosce bene la strada per spingere tutti a uno sforzo comune e quando questo dovesse avvenire nessuno di noi mancherebbe di concorrere con idee e proposte. Certo, ci saranno altre idee in giro ma dovranno avere lo stesso impatto choccante sulla finanza pubblica e sugli investimenti pubblici e privati.
E dopo la Z di Zorro (eroe di discendenze alto-borghesi che difendeva l’umile popolazione indigena da funzionari pubblici tirannici e corrotti), ecco la P della Politica, e di Pomicino. O anche della Predazione.