In caso ve la foste perduta, e per celebrare degnamente lo spirito del Natale, oggi vi offro una lettura critica e ragionata dell’intervista che il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha concesso al vicedirettore de La Stampa, Marco Zatterin, pubblicata ieri. Sul risotto una grattugiata di peyote è la morte sua.
Per cominciare, ecco il pivot delle argomentazioni dell’ingegnere pentastellato:
Lo Stato deve essere guida silenziosa e accompagnare la transizione delle imprese.
Che, detta così, implica uno spettro di interventi che variano dalla ricerca di base ai sussidi a imprese decotte. Perché tutto è in transizione, avrebbe convenuto Eraclito, allievo di Schumpeter.
Servono quindi aiuti di Stato, detto in termini assai generali? Certo che sì, risponde convinto Patuanelli. Che prosegue identificando le ragioni dell’intervento pubblico nell’esempio fornito dalle due superpotenze:
L’impossibilità di intervenire liberamente in mercati regolati dalla concorrenza, e forse troppo poco regolati, ci rende fragili a livello globale. Gli Stati Uniti, pur essendo il primo paese capitalista, non si fanno scrupolo a imporre nuovi dazi. La cosa succede anche in Cina. Al centro fra questi due giganti, c’è l’Europa, un mercato frammentato, senza una politica economica condivisa, che non consente agli stati di intervenire.
Quindi, vediamo: ci sono dei mercati regolati dalla concorrenza, circostanza che di suo sarebbe un merito ma non per Patuanelli, e l’idea che la mano pubblica non riesca ancora a manomettere liberamente questi mercati appare intollerabile al nostro ministro post ideologico. Che infatti brandisce a mo’ di esempio i dazi americani, che non sono esattamente un modello da seguire, ma transeat. Notate comunque che siamo in un calderone dove bolle di tutto, da ricerca e sviluppo a sussidi e dazi.
Patuanelli difende la scelta di Huawei come partner 5G con argomentazioni che paiono fare letteralmente a cazzotti con quanto sostenuto sino a questo punto dell’intervista:
Non si può sventolare la bandiera del libero mercato con una mano e quella del protezionismo con l’altra.
Avete le vertigini? Vi capisco? Patuanelli si rivela un fantasista dal dribbling ubriacante: spazia del libero mercato all’intervento pubblico a mezzo sussidi e dazi, dando prova di uno stato confusionale un eclettismo che è quanto richiedono i tempi che viviamo. E del resto, tutto ciò è coerente con la filosofia pentastellata: né destra né sinistra, né mercato né pianificazione statale.
Questo eclettismo implica quindi la possibilità e finanche l’auspicio dell’intervento pubblico. Sì ma dove, visto che siamo appesi ad uno spettro di intervento che (ripeto ancora una volta) spazia da ricerca di base e nuove tecnologie sino ad aziende di old economy decedute a loro insaputa?
Se ci sono necessità di crisi in settori strategici, legate a contingenza e non strutturali, lo stato deve poter intervenire.
Alitalia settore strategico in crisi legata a contingenza? Si, perché
[…] ha avuto una gestione traballante, con la politica ci ha messo del suo decidendo le rotte.
Invece, come noto, oggi la politica intende definire solo le grandi direttrici di sviluppo strategico. Le rotte vengono solo quando c’è un fortunato acquirente da inchiodare con il martello della “continuità territoriale”, come noto. E quanto a Ilva, era redditizia:
Se guardo al patrimonio sequestrato ai Riva, non posso dire che fosse l’Ilva non fosse redditizia, non avremmo sequestrato tutto quel patrimonio. Una siderurgia rispettosa dell’ambiente ha bisogno di una partecipazione dello stato. Altrimenti nessun imprenditore privato può renderla sostenibile.
Non commento sul patrimonio dei Riva come indicatore dello stato di salute di Ilva: questa mi pare inferenza che si fa nelle migliori business school di Caracas, ma chiederei a Patuanelli di verificare quanti casi di proprietà pubblica o mista nella siderurgia abbiamo in giro per l’Europa. Io devo essermi distratto un attimo. Oppure, si tratta di mostri che inquinano perché lo Stato non è presente. Però, aspetta: lo Stato era già a Taranto, si chiamava Italsider, e non mi pare che in città si respirasse ambrosia. Boh.
Comunque, settori strategici in crisi da contingenza e in transizione, è chiaro. E comunque, la mano pubblica serve:
Non può che essere lo Stato a guidare la transizione di cui parlavo prima, che avviene fra tecnologie di frontiera, come la blockchain e Internet delle cose. E’ successo negli anni ’50 con la siderurgia. Nei settori in transizione una nuova Iri renderebbe più accessibili le tecnologie che cambiano.
Poteva mancare la mitologica bloccèin e l’internet delle cose sulla frontiera tecnologica? Ci metterei anche una spruzzata di intelligenza artificiale ed un’oliva di stupidità naturale, e poi lo Stato imprenditore può scendere in campo, magari avvalendosi di qualche prestigiosa consulenza del settore privato, che “cross-fertilizza”. Tutto al servizio di Ilva ed Alitalia, in caso. Ma anche di Mercatone Uno, Embraco, Whirlpool e degli altri tavoli di crisi al ministero retto pro tempore da Patuanelli, che produce cassa integrazione in deroga come se non ci fosse un domani.
Mentre attendiamo che il nostro uomo a Bruxelles, Paolo Gentiloni, riesca a scardinare norme sugli aiuti di stato e patto di stabilità (“a Gentilo’, facce Tarzan!“), la situazione di Alitalia resta quella di una flagrante e protratta violazione delle norme sugli aiuti di stato, sinora stranamente non sanzionata dalla Commissione Ue, forse per dare modo agli italiani di impiccarsi con la corda di propria scelta. “Sei mesi per salvarla o chiude”, ha ringhiato il ministro, per dar mostra di decisionismo.
Ovviamente è una pietosa bugia: i concorrenti di Alitalia fingono di lamentarsi, la compagnia si porta all’inferno l’Italia senza danneggiarle più di tanto, e attendiamo la fine sgranocchiando popcorn. Quindi vedrete che, tra sei mesi, il ministro di turno al Mise (magari lo stesso Patuanelli), dirà che Alitalia non va chiusa perché col blockchain e la sbiriguda lo Stato imprenditore potrà rilanciarla più bella e più forte che pria. Fuori la politica dal mercato, serve protezionismo e sussidi. E non intendo mingere per l’antidoping, sia chiaro. Il marxismo è morto, il capitalismo barcolla, Giggino non molla.
Avremo editoriali sul giornale di Confindustria che ci spiegheranno che è fondamentale avere un’economia mista (meglio se fritta), mentre il direttore del Corriere, prima di cimentarsi con la posta del cuore, denuncerà che in Germania “si fa ma non si dice”. Bello avere una stampa che presidia la lattina, tra un calcio e l’altro.
Avremo foto di Mariana Mazzucato affisse negli uffici pubblici mentre altri grillini per vocazione segnalano l’importanza del militare nella ricerca di base. Suoneremo la DARPA, in pratica. Diverremo un paese marziale, quindi, dopo essere stati per lungo tempo un inarrivabile modello di autolesionismo economico, oltre che di socialismo predatorio.