Tremonti e l’eurobond che non è debito

Arcana intervista del Messaggero a Giulio Tremonti. O meglio, arcane sono le risposte del tributarista ex ministro. Dalle quali par di capire che esisterebbe in natura uno strumento di debito che in realtà non è debito. Un po’ come il tessuto non tessuto, in pratica. O la non-pipa di Magritte.

Prima di entrare nel merito di questi arcana (Tre)mundi, vi omaggio di un argutissimo commento dell’ex ministro, sulla “potenza di fuoco” messa in campo dal governo italiano, che in astratto numerico rappresenta una delle maggiori manovre nazionali:

Messa giù così, se vai in Europa a chiedere gli eurobond, puoi aspettarti che una rauca voce nordica ti dica: «ma se hai già tutti questi soldi, perché ne vuoi ancora?».

E cosa dovrebbe rispondere il governo?

Che un conto è parlare in televisione in Italia, dire che hai “una enorme potenza di fuoco”. Un conto è il giorno dopo in Europa. Tanto è vero che hai costruito procedure complicate proprio per non spenderli.

Io amo la cinica arguzia di quest’uomo, davvero. Ed anche le “voci rauche nordiche”, in contrapposizione a quelle chiocce mediterranee o prealpine.

Ma entriamo nel merito degli eurobond visti da Tremonti. Si parte in preambolo con l’Europa semplice ed irenica che fu, per arrivare a quella di oggi: legalistica ed onusta di acrimonia ed acronimi:

L’Europa che abbiamo conosciuto e che abbiamo amato, era semplice e per questo popolare. Carbone, acciaio, agricoltura, ecc. Questa nuova Europa passa attraverso acronimi. Per capirla devi aver fatto un semestre, o almeno uno stage, in una banca d’affari americana o inglese.

Come noto, per Tremonti le banche italiane, e non solo loro, non parlano né devono parlare inglese. Questo ci salverà dal cupo mondo hobbesiano dove dominano le banche d’affari ed i grandi e meno grandi studi tributari. Io comunque ricordavo che ci fossero acronimi anche mezzo secolo addietro, tipo la CECA, ma posso sbagliarmi.

Ma l’ex ministro ha le idee molto chiare sugli eurobond. E qui saetta la prima rivelazione:

Detto questo, eurobond voleva dire debito europeo. Tutto quello che si sta organizzando è debito nazionale operato attraverso strumenti vecchi, come il Mes, o nuovi da inventare in Europa.

Il senso della frase è chiaro: se ci indebitiamo col MES, sia pure con condizionalità leggerissime, sempre di debito nazionale si tratterebbe. Quindi, che senso avrebbe sommare debito nazionale a debito nazionale estero-proveniente? Noi vogliamo debito europeo. Bene, ma la domanda sorge spontanea: un debito europeo, in capo a chi finisce? Secondo me, che sono una persona arida e per nulla immaginifica, dovrebbe finire pro rata in capo ai paesi che lo garantiscono. O no?

Mentre cerchiamo di comprendere questo snodo essenziale tra debito nazionale e debito europeo garantito dagli stati nazionali, il professore definisce, nel modo immaginifico che gli è congeniale, i bond emessi dal MES:

La ideona che pare si sia sviluppata nel laboratorio europeo, è quella del doppio debito. Sopra una kombinat di attrezzi vecchi e/o nuovi che raccoglie i capitali a debito, sotto gli Stati che si indebitano per acquisire a loro volta a debito una quota di quei capitali a loro volta presi a debito. Il segreto di fabbrica sarebbe il doppio debito. La produzione di debito a mezzo di debito.

È tutto vero: nel MES i singoli paesi versano il capitale, in proporzione della loro quota di partecipazione al capitale della Bce (capital key), e poi questo capitale funge da garanzia per “mettere a leva” la capacità di raccolta di debito del MES. Banale, come per qualsiasi operazione di raccolta fondi da parte di una entità aziendale.

Che accadrebbe, se un debitore a cui sono stati destinati fondi raccolti dal MES a mezzo emissione di debito, risultasse insolvente? Che il suo buco farebbe scattare le garanzie da parte degli altri paesi, con versamenti integrativi sempre pro rata.

E ora, devo farvi una rivelazione sconvolgente: lo stesso identico processo e meccanismo si realizzerebbe se si facessero gli eurobond. Ma proprio identico, sapete? Vi dirò di più: anche se si emettessero coronabond, sarchiaponebond e supercazzolabond. Ogni paese presta garanzie, che possono essere attivate in caso di insolvenza del prenditore di quei fondi.

Ma se le cose stanno in questi termini, non è chiaro perché Tremonti non veda gli eurobond per quello che sono: debito nazionale derivato da emissione collettiva sovranazionale. A meno che egli non pensi che gli eurobond debbano essere semplicemente una sovvenzione, cioè un trasferimento a fondo perduto al paese richiedente.

Ora, fate uno sforzo ulteriore: ipotizzate che i 410 miliardi di potenza di fuoco del MES vengano ribattezzati eurobond e distribuiti ai paesi che ne fanno richiesta. In questo caso, quanto bisognerebbe trasferire? Servirebbero regole di base per l’attribuzione, no? Quanto all’Italia, quanto alla Francia, quanto alla Spagna, ecc. È per caso questa una odiosa condizionalità, da rigettare come laido tentativo di violazione della nostra autodeterminazione e sovranità?

Ma se questi soldi non devono andare a gravare sul debito nazionale, né direttamente né indirettamente, significa che non ne è prevista la restituzione a scadenza. Non una buona notizia per gli eventuali sottoscrittori sul mercato di questi bond, non trovate?

Per farvela breve, l’impressione è che per Giulio Tremonti, e non solo per lui, eurobond significhi sovvenzione a fondo perduto ai paesi che ne fanno richiesta. E questo conferma i miei sospetti sull’inconfessabile richiesta degli italiani in sede Ue. Ripeto: basta dirlo.

So che voi ora direte: eh, ma basterebbe che la Bce se li comprasse, annullandoli. Lo so, ma vi garantisco che nessuna banca centrale seria del pianeta opererebbe in modo così sfacciato una monetizzazione del debito, anche se non vigesse l’articolo 123.1 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea; in odiato acronimo, TFUE. Che poi, ricorda molto l’onomatopea da fumetto “PFUI”, che esprime disprezzo misto a ribrezzo. Un caso? Io non credo.

Allora, appurato che per Tremonti pare che gli eurobond non debbano essere debito, che suggerisce il tributarista millenarista? Di usare il debito domestico, allettando i risparmiatori con una bella esenzione fiscale, che per gli italiani notoriamente è un potentissimo magnete.

Credo che in un contesto finanziario complicato, e in prospettiva drammatico con il serpeggiare non infondato di paure come quelle della patrimoniale o del prestito forzoso, l’alternativa sia la fiducia.

Prego?

La formula per iniziare un percorso di fiducia sul debito pubblico è quella secolare “esente da ogni imposta presente e futura”. Su questa base, che ha un forte valore simbolico oltre che economico, fare emissioni di titoli di Stato da offrire.

Ah, capisco. Una specie di giuramento dei Templari. Che poi, detto dallo Stato italiano, che notoriamente ha una ed una sola parola, soprattutto sulle tasse, questa è una garanzia assoluta. Anche se il mio cinismo mi porta a pensare che che il messaggio potrebbe essere inviato nella seguente forma:

Caro cittadino italiano, quanti bei risparmi hai. Sarebbe un peccato se accadesse loro qualcosa. Che so, una patrimoniale o un prestito forzoso. Per quello ti offro una opportunità che non potrai rifiutare: un prestito volontario, a tassi inferiori a quelli di mercato perché il mercato non prezza correttamente il rischio (basso) del nostro meraviglioso paese. Fossi in te, aderirei: non vorrei che la generosa offerta venisse ritirata e sostituita domani con un prelievo forzoso o una patrimoniale.

Riflettete, quindi. E buon non-debito a tutti.

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