L’eterno nodo del reclutamento
di Luigi Oliveri
Egregio Titolare,
La strategia è esattamente la stessa che si è già vista per gli appalti pubblici: far incancrenire le procedure e soprattutto i bisogni, in modo da favorire strumenti straordinari, deroghe, aggiramenti della strategia e dare spazio alla discrezionalità che poi sfocia nell’arbitrio.
Stiamo parlando delle modalità per assumere nella pubblica amministrazione il personale necessario per attuare le azioni del Recovery Plan (che ancora nessuno conosce) e, anche, occorre non dimenticarlo, per fare fronte all’ondata di cessazioni dal servizio iniziata già a fine 2018, che ridurrà il personale pubblico di circa 500.000 unità.
Per tre lustri, la necessità di tenere sotto controllo la spesa pubblica corrente ha suggerito di intervenire sulla spesa per il personale pubblico con una strategia chiarissima: ridurne il numero senza attivare licenziamenti di massa, bensì bloccando il turn over e contestualmente anche la dinamica contrattuale e stipendiale.
Una PA anziana e con competenze obsolete
In effetti, ciò ha prodotto per un lasso di tempo ampio una tendenza alla riduzione della spesa. Ma i costi sono molto elevati sul piano dell’efficienza. I dipendenti pubblici in Italia sono molti meno rispetto a quelli di Paesi competitori come Francia, Inghilterra e Germania e, in proporzione, Spagna. Sono, inoltre, invecchiati, visto che l’età media sfiora i 55 anni. Sono organizzati in professionalità e mansioni talvolta obsolete ed inseriti in processi a loro volta poco e male digitalizzati, come ha dimostrato la pandemia e la stentata attività in smart working.
Dopo aver affamato ed assetato la “bestia”, ci si accorge di aver esagerato e che occorra “fare presto”. Bisogna assumere, e in fretta, migliaia di tecnici necessari all’attuazione del Recovery Pan, come ricorda Federico Fubini sul Corriere della sera dell’8 marzo, nell’articolo “Migliaia di assunzioni di tecnici per preparare il Recovery Plan”, che racconta alcune delle strategie che il Governo intende adottare.
Il quadro che, però, viene fuori appare al limite dell’inquietante. Intanto, perché si parte da due “sentenze”: “Gli apparati di oggi non hanno le competenze necessarie”; inoltre “le procedure per reclutare nuovi profili sono inadeguate”. Altro che consulenze di McKinsey: se le cose stessero davvero come riferisce Fubini, se davvero vi fosse questa disperante assenza di competenze, meglio chiudere tutto, baracca, burattini, ministeri, comuni, regioni, enti: solo qualche migliaia di nuovi assunti non potrebbe che essere un palliativo.
Selezione e spoils system politico
Poi, c’è la questione che da sempre riscuote interesse nella politica: le procedure. Come per gli appalti. Le norme degli ultimi 30 anni hanno fissato il principio secondo il quale gli organi politici dovrebbero interessarsi solo di definire i programmi e le strategie, lasciando ai dirigenti la gestione, comprendendo l’affidamento degli appalti ed il reclutamento del personale.
Ma, l’attrattiva che queste due materie, per altro definite a particolare rischio di corruzione (e non ci vuole molto a capirlo) dall’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012, è altissima.
Attraverso lo spoils system si è fatto di tutto affinché la politica, formalmente esclusa dai processi di committenza e reclutamento, potesse comunque governarle attraverso il “governo degli uomini”, preponendo persone di fiducia alla gestione.
L’appetibilità in termini di consenso della possibilità di incidere direttamente sull’assunzione di migliaia di persone è da sempre elevatissima e la sofferenza con la quale la politica vive l’esclusione dalla composizione delle commissioni di concorso palpabile e spessa come una roccia.
I concorsi e la legge
Il concorso. Come l’appalto, è detestato. Perché, se ben condotto, non consente di piazzare l’amico o il parente. Da qui i tentativi decennali di superarlo. Anche grazie al costante discredito dello strumento nei media, che invece decantano sempre, come nel pezzo citato, “individuazione dei profili tramite i sistemi di ricerca tipici delle grandi imprese, incluso il ricorso all’intelligenza artificiale”. E pazienza se il reclutamento nel sistema privato risulti quanto di maggiormente opaco esista.
Vi sarebbe, poi, il piccolo dettaglio dell’articolo 97, comma 4, della Costituzione: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
È quella “salvezza” di alcuni casi nei quali la legge possa consentire modalità di reclutamento diverse dal concorso, che fa venire l’acquolina in bocca. Dovrebbe, detta possibilità, restare circoscritta ad esigenze molto speciali e particolari. L’attuazione del Recovery Plan potrebbe esserlo?
Dipende. Come evidenziato all’inizio, ci si trova in una situazione mista. Da un lato, nella necessità di fare fronte ad un’emorragia epocale di personale pubblico; dall’altro, nell’opportunità, anch’essa necessitata, di rafforzare le strutture dell’amministrazione per attuare il NGEU.
Alternative al concorso
Di sicuro, l’idea del concorso unico nazionale, ancora fortemente presente nella normativa del primo governo Conte non può essere perseguita: tempi lunghissimi, difficoltà logistiche immense, accentuate dalla pandemia.
Fubini informa che al Corriere sono state fornite prime indicazioni su come procedere coi reclutamenti. Tra esse, “niente concorsi tradizionali”. Cosa voglia dire è ancora presto per saperlo.
Trapela, comunque, l’intenzione appunto di sistemi di reclutamento che saranno fortemente divaricati rispetto a quello del concorso. Come le chiamate dagli ordini professionali, idea nuova ma molto vecchia, che consente la riacquisizione di potere di ingerenza e di influenza da parte della politica.
C’è, poi, ancora, l’informazione che “Nel governo si pensa dunque a un meccanismo già usato nelle amministrazioni europee: la chiamata diretta di circa 500 figure per ruoli di vertice, per esempio nei gabinetti dei ministri”. Strano: non dovrebbe sfuggire, in realtà, al Governo che i capi di gabinetto sono già selezionati in totale omaggio allo spoils system, per questa specifica parte considerato costituzionale dalla Consulta, per chiamata diretta.
Una osmosi già tentata
Forse, il vero punto è un altro e Fubini lo sottolinea: “L’idea è di creare un’osmosi dal settore privato (che coinvolga anche talenti italiani all’estero), al pubblico, in vista di un ritorno al privato in seguito”. Anche garantendo remunerazioni “di mercato” e “retribuzioni che non scoraggino i più capaci dal servizio nello Stato”: ma non si era detto che gli stipendi pubblici sono superiori a quelli del privato? Per attrarre le professionalità private, allora, perché gli stipendi pubblici non vanno bene? E come si farebbe a creare trattamenti economici ad hoc, visto che ai dipendenti pubblici si applicano necessariamente le retribuzioni definite dai Ccnl dei comparti?
Tutto potrebbe andare per il meglio, se i reclutamenti così immaginati e l’osmosi pubblico-privato consentissero di reclutare velocemente le migliori professionalità. Tuttavia, il problema è che le idee così esposte e presentate come nuove ed originali sono vecchissime. Tanto quanto la riforma del 1993 della PA e la riforma Bassanini del 1997. Anche a quell’epoca il disco dell’osmosi, del completamento delle competenze pubbliche con le esperienze private, l’ingresso dei “manager” delle aziende, erano declamati ed esaltati come il rimedio ai mali della PA.
Parrebbe di poter constatare che, vista la estesissima convinzione che la PA non funzioni e che le professionalità manchino, nulla ha funzionato.
Dunque, la coazione a ripetere gli stessi strumenti e rimedi, non può che offuscare la speranza e l’ottimismo. Anche se il pessimista è quello che si abbarbica più di altri alle illusioni.
Questo post di Luigi mette in luce -non per la prima volta- la criticità estrema che l’attuazione del Recovery Plan avrà per il nostro paese. Come per ogni altro paese coinvolto, ovviamente, ma per noi italiani la questione esistenziale è “scoprire” che il motore del Recovery Plan, la pubblica amministrazione, è imballato da incurie stratificatesi in decenni.
Ancora una volta, quindi, si pone il problema di quale processo di selezione per la P.A., tra fughe in avanti, ricerca di scorciatoie e vincoli formali (che dovrebbero essere anche sostanziali e garantisti) alla imparzialità del processo di selezione. Concordo sul mito della maggiore efficacia ed efficienza della selezione del personale nel settore privato.
Anche qui a volte gli esiti del recruitment non sono necessariamente quelli “ottimi” che tutti si aspettano dalla “razionalità” del privato, con o senza intelligenza artificiale. Credo che tutto o molto dipenda dalle solite dinamiche del rapporto principale-agente. Che tuttavia nel pubblico toccano, per motivi intuibili, picchi patologici.
Non so come ne usciremo, in tutta franchezza. Ma se dovessi basarmi sulla storia di questo paese, e sull’uso che la politica ha fatto della pubblica amministrazione, in assenza di sanzione da parte dell’elettorato, forse rassegnato o interessato solo a essere cooptato in determinati contesti (e avere un posto fisso), fatico a trovare motivi di speranza. (MS)