Su Project Syndicate, un editoriale dell’economista John Cochrane tenta di richiamare alla realtà su quanto sta accadendo dalla cosiddetta fine della pandemia nei paesi sviluppati: e cioè un gigantesco ingorgo tra domanda improvvisamente liberata e dopata dalle sovvenzioni pubbliche, e offerta che non riesce a tenerne il passo anche perché zavorrata da alcune misure prese dai governi.
Cochrane afferma che l’ortodossia economica è appena finita contro un muro di realtà chiamato “offerta”. Dopo che la Federal Reserve e il Tesoro hanno creato migliaia di miliardi di dollari e spedito assegni praticamente a ogni americano, non era terribilmente difficile prevedere che sarebbe comparsa inflazione, sostiene Cochrane.
Sicuri sia “transitorio”?
La giustificazione della Fed, ormai difesa con sempre minore convinzione, è che si tratti di squilibri “temporanei” causati dalla vibrante domanda. Ma una banca centrale, secondo Cochrane, dovrebbe avere come compito principale quello di calibrare quanta offerta un sistema economico può reggere, e sintonizzare la domanda a tale capacità .
Questo, aggiungo io, nell’ipotesi di avere una banca centrale attenta a cosa accade nell’economia reale fuori dal proprio paese, ma i modelli econometrici esistono per essere testati contro la realtà .
E qui, Cochrane si toglie qualche sassolino dalla scarpa chiamando in causa le fiabe della MMT, che sostiene, con la sua esponente oggi più in vista, Stephanie Kelton, che “c’è sempre capacità inutilizzata nell’economia”. Non male, come test di realtà . Date le premesse, servirebbe forse tornare a studiare la teoria del ciclo economico reale, anziché farsi affascinare dalle grandezze nominali.
C’è poi un altro dato che riassume in modo molto plastico gli attuali squilibri economici. L’economia statunitense ha praticamente colmato, in termini di Pil pro capite, la voragine causata dalla pandemia. Eppure, ci sono ancora circa cinque milioni di persone fuori dal mercato del lavoro, mentre il numero di posizioni ricercate dalle imprese tocca nuovi massimi storici. Situazione analoga in altri paesi sviluppati.
Ad oggi, molte delle spiegazioni che sono state date per spiegare questo buco di offerta di lavoro restano insoddisfacenti e spesso non suffragate dalla realtà . Ad esempio, sempre negli Stati Uniti, la fine delle maggiorazioni federali sui sussidi di disoccupazione non ha portato a un aumento del numero di persone che cercano lavoro.
Il lavoro scomparso
Dieci milioni di posizioni di lavoro ricercate dalle imprese statunitensi, cioè tre milioni più del picco pre-pandemico e solo sei milioni di persone che offrono le proprie prestazioni. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro, cioè persone che lavorano o cercano lavoro, è calato da circa il 63% pre-pandemia al 61,6% attuale. L’economia statunitense si è un po’ “italianizzata”, con l’aumento di inattivi che per ora non viene riassorbito.
C’è quindi, secondo Cochrane, “sabbia negli ingranaggi”, nel senso di eccesso di sussidi (spesso diventati risparmio) che frenerebbe il ritorno sul mercato del lavoro di milioni di persone mentre la domanda resta per ora sorretta, come detto, dalla formidabile accumulazione di risparmio durante la pandemia.
Poi ci sono le nuove misure di welfare promosse da Joe Biden, anche se molte altre ne mancano, a vincolare l’offerta di lavoro. Ad esempio calibrare i contributi pubblici al reddito individuale o familiare. Anche se risponde a ovvie esigenze di equità , se mal disegnato ciò rischia di fare esplodere le aliquote marginali effettive, cioè quanto lo stato si prende di tasse per ogni dollaro aggiuntivo guadagnato, e quindi agire come disincentivo all’offerta di lavoro. Bel contrappasso, per misure che puntavano ad aumentare la partecipazione al mercato del lavoro mettendo ad esempio a carico dello stato la cura di anziani e bambini.
C’è poi tutto il capitolo energetico, con le penalizzazioni all’investimento in upstream, cioè a esplorazione e produzione di combustibili fossili, che hanno spinto le aziende a sottoinvestire e dirottare risorse alla ricerca sulle rinnovabili o alla restituzione agli azionisti sotto forma di dividendi e riacquisto di azioni proprie. Bene per gli investimenti in ricerca, almeno nel medio-lungo termine, ma i colli di bottiglia sono presenti qui e ora.
Domanda di welfare e vincoli all’offerta
In sintesi, gli Stati Uniti e il mondo hanno un problema di insufficiente offerta complessiva, di cose e persone. Cochrane si chiede, provocatoriamente, dove si troveranno i milioni di posti di lavoro promessi dalle rinnovabili se tutti resteranno a casa a godersi i sussidi. Senza essere così estremo, io pure credo che oggi esista uno squilibrio tra il maggiore intervento pubblico di spesa sociale, effettiva e desiderata, e la capacità di offerta dell’economia, che è ciò che sta scaldando i prezzi. Di certo, la demografia non aiuta, anzi.
Resta possibile che tale squilibrio si riassorba, naturalmente; magari nel peggiore dei modi, cioè con distruzione della domanda causata dai costi. Oppure che si inneschi un movimento di crescente richiesta di intervento pubblico che causa ulteriori restrizioni all’offerta e stimolo di domanda, che alla fine produce una spirale prezzi-salari che a sua volta distrugge la domanda.
Gli impressionanti esborsi pubblici durante la pandemia, nel mondo occidentale, sono anche il frutto di una “cattiva coscienza” degli anni precedenti, e del tentativo di preservare il sistema e non esporlo a rischi di sommovimenti e rovesciamenti con violenza. Ma questo non cambia la situazione attuale, che è di restrizioni all’offerta e stimolo di domanda a mezzo di deficit. I risultati sono sotto i nostri occhi; la crisi sociale, che in pandemia si è voluto scongiurare, potrebbe rientrare dalla finestra.
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