Dopo la caduta di Boris Johnson, è iniziata la competizione tra esponenti conservatori per succedergli alla guida del partito e quindi del governo. Non sappiamo ancora se l’iter di selezione sarà quello tradizionale, con i parlamentari che scelgono due candidati, che successivamente si affrontano in una vera e propria campagna elettorale sul territorio, il cui voto spetta agli iscritti al partito, oppure se per tagliare i tempi saranno solo i parlamentari a scegliere.
Tories in crisi identitaria
Resta il fatto che i Tories sono in piena crisi identitaria, che non appare destinata a risolversi con l’uscita di scena del funambolico Johnson. Ancora una volta, in questa situazione di resa dei conti con la realtà, ritroviamo degli elementi comuni al cosiddetto dibattito politico italiano. In particolare l’avversione, ormai a livelli di shock anafilattico, ai vincoli di realtà.
Il problema dei conservatori è che sono sempre più inviluppati nella mitologia che noi italiani conosciamo bene: nessun trade-off, avremo burro e cannoni, e in premio per la nostra riuscita anche cannoli. Prendiamo le posizioni di molti dei candidati a succedere a BoJo. Con la sola eccezione di quello che al momento pare il front-runner, cioè l’ex cancelliere Rishi Sunak, che tenta di fare un discorso “adulto” e “contro le fiabe”, sono praticamente tutti a favore di forti tagli della pressione fiscale, ovviamente senza indicazione della copertura.
Quindi, via l’aumento dei contributi sociali deciso da Sunak e in vigore dalla primavera, ma via anche il programmato aumento della tassazione sulle società, che dal prossimo aprile passerà dal 19 al 25% e si va oltre, verso il 15%. Qui le uniche differenze sono tra il taglio immediato di tutto e un minimo di gradualità, del tipo taglio di un punto percentuale annuo nella transizione tra il 19% e il 15%.
Il miraggio di meno tasse
L’ex Segretario alla Salute ed ex Cancelliere dello Scacchiere, Sajid Javid, si presenta come sostenitore dello stato minimo scordando di essere stato a favore di forti aumenti di spesa pubblica per il sistema sanitario nazionale e più in generale per la spesa sociale, oltre che di aver sottoscritto il piano di Sunak di aumento delle entrate.
Sulle coperture, silenzio di tomba. Forse parliamo dei famosi tagli di tasse che fanno esplodere la crescita e si autofinanziano. Illusione dura a morire. Secondo calcoli del Financial Times, il cartellino della spesa di Javid oscilla tra 47 e 52 miliardi di sterline, il 2% del Pil. Per non farsi mancare nulla, neppure il fischietto a ultrasuoni, Javid ha dichiarato che non è d’accordo con quanti sostengono che per avere tagli d’imposta occorre avere crescita. Cosa vi ricorda?
La Foreign Secretary, Liz Truss, convinta di essere la reincarnazione di Margaret Thatcher, è più “morigerata“, visto che promette di cancellare solo l’aumento dei contributi sociali, con un costo tra i 13 e i 18 miliardi di sterline annui, e di avviare una immancabile spending review per le coperture. Anche qui, già sentito nella Penisola. Quello che non si sente da noi invece, e che Truss propugna, senza dettagli e forse come bandiera ideologica, è una robusta spinta alla crescita a mezzo di riforme dal lato dell’offerta. Che, per un paese che da sempre ha problemi di insufficiente crescita della produttività, potrebbe essere un cambiamento interessante.
Non manca neppure l’approccio “tasse zero” per le zone depresse sostenuto da Jeremy Hunt. Ricorda le zone economiche speciali o i porti franchi, solo a un livello onirico più avanzato e rigorosamente senza indicazione di copertura.
Sunak il “socialista”
Al momento, Sunak gode della maggioranza relativa della base parlamentare che si è sinora espressa. Accusato dai lealisti johnsoniani di aver premeditato il tradimento, anche a causa della rapidità con cui ha lanciato la sua campagna elettorale, è sotto il fuoco di quanti lo descrivono come un “socialista” il cui unico obiettivo è quelli di pareggiare i conti. Non male, per un ex banker ricco, che per qualche tempo ha goduto di una Green Card statunitense (come Javid) e sposato a una delle maggiori ereditiere indiane, la quale ha pure goduto delle agevolazioni fiscali dello status di non-dom.
Ma Sunak è stato anche “astuto” sul piano contabile. Dopo aver realizzato che le promesse di Johnson erano insostenibili, soprattutto dopo una pandemia, e dopo gli aumenti d’imposta “visibili”, l’ex Cancelliere ha messo mano ad un altro espediente molto “italiano”: il blocco dell’adeguamento degli scaglioni d’imposta all’inflazione.
Il cosiddetto fiscal drag, in base al quale al crescere dei redditi nominali per l’inflazione, il gettito aumenta più che proporzionalmente. Con l’esplosione dell’inflazione, quel gettito-ombra stimato è passato da circa 4 a 10 miliardi di sterline per il prossimo anno. Soldi veri.
Il problema dei Tories è come attuare il livellamento verso l’alto delle zone depresse, dopo averne strappato ai Laburisti l’elettorato, con le suggestioni di stato minimo, a basse tasse e bassa spesa. Che, come miraggio, potrebbe anche riuscire, visto quello che la propaganda è riuscita a fare con la Brexit e la cornucopia di denaro che l’uscita dalla Ue avrebbe dovuto liberare.
Senza contare che, immaginare di tagliare le tasse in un momento di elevata inflazione, e magari farlo pure senza copertura finanziaria, inietterebbe più stimolo in un’economia già surriscaldata e ai limiti della propria capacità, costringendo la Bank of England ad inasprire la stretta monetaria.
Vedremo chi vincerà il contest conservatore ma un paese con un elevato deficit delle partite correnti e che ha sperimentato un crollo dell’interscambio commerciale, è ad alto rischio di trasformarsi in un paese emergente, almeno sul piano finanziario. Cioè, di vedere uno stop improvviso ai flussi di capitale che finanziano il deficit commerciale, e quindi di avere una crisi di bilancia dei pagamenti con conseguente crollo della moneta.
Accenti italiani
Vedremo se tornerà la mistica della Singapore sul Tamigi, che semplicemente non può accadere a meno di creare crescenti tensioni sociali. La strada alternativa, quella della lavatrice del mondo, pare preclusa dalla guerra in Ucraina e dalla revisione del rapporto con la Russia.
Come si nota, il discorso pubblico britannico è sempre più simile alle illusioni italiane. Le coperture finanziarie sono un tabù ormai assoluto, il pensiero magico impera e impazza. La sola differenza tra noi e loro sta nella pressione fiscale e nel livello di spesa pubblica. Nel senso che il Regno Unito ha ancora molta strada da fare, per raggiungerci. Sarà la maggioranza dell’elettorato a decidere se vuol percorrere quella strada. Sempre che qualcuno abbia il fegato di proporla. Nel frattempo, il populismo è destinato a restare con noi, nelle sue varie rappresentazioni.
Photo by Sergeant Tom Robinson RLC, OGL v1.0OGL v1.0, via Wikimedia Commons