Il paese della luna nel pozzo nero

Prendete un paese che vive di emergenze, immaginarie e molto più spesso reali. Un paese fortemente avverso al vincolo di realtà e impegnato allo spasimo in un palio senza fine, la cui posta sono risorse fiscali ormai esaurite. Un vero laboratorio pestilenziale con decine di milioni di cavie, moltissime delle quali consenzienti. Che, al ricorrente grido “fate presto”, si sta scavando una fossa molto profonda e pure settica.

Quale miglior momento di una crisi globale, di uno shock energetico senza precedenti e di una perturbazione inflazionistica che minaccia di devastare i redditi di ampia parte della popolazione per lanciarsi in un’ordalia psichedelica di richieste di deficit e debito aggiuntivi?

La giberna di proiettili d’argento

Hanno iniziato i residui dell’entità colliquata convenzionalmente nota come M5S e il loro leader irrisolto, difendendo sino all’ultimo neurone il Superbonus 110%, forse la più demenziale agevolazione fiscale della storia italiana, una giostra infernale dove già la percentuale di beneficio è il marchio di fabbrica della rivolta contro la realtà e a favore del moto perpetuo della demagogia. Una misura criminogena che causa un loop di controlli e aggiramenti che giungono al blocco di tutto o quasi.

O Superbonus o morte, dissero per una volta concordi i pentasfasciati. Che non sono una specie in via di estinzione ma sono l’estinzione, che avanza a grandi falcate e come tale stenderà il proprio sudario a porzioni crescenti dell’elettorato, al procedere di un impoverimento che è nelle cose ed è visibile ormai da molti anni, anche senza aguzzare lo sguardo. Gratuitamente, come direbbe il loro leader irrisolto.

Poi, sempre in cerca di nuovi spin da cacciare in gola all’elettorato, giunse il “facciamo come l’Europa, ci vuole il salario minimo!”. Come ho scritto alla nausea, l’Italia già oggi soddisfa i target strategici alla base della direttiva europea, e cioè una contrattazione collettiva che copre almeno l’80% dei lavoratori.

Il punto è quello di alzare i minimi, costi quel che costi. Il governo, col ministro del Lavoro Andrea Orlando, propone di estendere a tutte le aziende i contratti maggiormente rappresentativi. Cosa che non risolve il punto dei lavori poveri, quelli a bassa produttività e retribuzione. Anche qui, l’equivoco regna sovrano. Il salario minimo serve funzionalmente in un contesto di contrattazione decentrata, che in Italia non esiste.

Ma anche qui c’è una tesi utilizzabile: se alziamo i salari, spingiamo le aziende a innovare e produrre più valore aggiunto. Come non averci pensato prima? In effetti, dato il costo del lavoro e l’incidenza del cuneo fiscale e contributivo in questo paese, dovremmo esserci da tempo trasformati in un romanzo di Isaac Asimov, e avere robot ovunque.

Poi, sindacati e datori di lavoro temono che nuovi minimi finiscano a smantellare la contrattazione collettiva. Timore non infondato, se solo si usasse la logica. La questione non è affatto semplice e di certo rimetterla ai fonditori di proiettili d’argento che prosperano in Italia rischia di produrre nuovi disastri e arretramenti.

Ma questo è anche il paese del sommerso trionfante, il cui livello rischia di salire di molto e ammazzare il gettito fiscale. Cose che capitano, quando l’inesistente senso della comunità nazionale produce istanze corporative esasperate che moltiplicano l’assorbimento di risorse fiscali.

Temporanei e permanenti

L’emergenza inflazionistica ha scatenato istanze legittime di “risarcimento”. Il problema restano le risorse. E qui siamo alla ribellione conclamata contro la realtà. I leader sindacali ormai invocano tassazione degli extraprofitti sino al 100% e oltre, ma anche prelievo dell’extragettito, cioè quella categoria dello spirito che nasce dal rimbalzo economico dello scorso anno. C’è un extra per ogni cosa, lo si renda permanente e il gioco è fatto.

Tassate le aziende energetiche, le multinazionali con tante zeta, la logistica, il farmaceutico; tassate qualsiasi cosa respiri, in questa sorta di assalto ai forni. Poi l’immancabile uso del “recupero dell’evasione”, che mette l’alea al servizio della permanenza.

Oggi in molti stanno gioiosamente rilassando gli sfinteri dopo aver visto il provvedimento del governo di sinistra e di minoranza spagnolo: due anni di tassazione degli extraprofitti delle imprese energetiche e delle banche. Con un gettito risibile, rispetto al danno che produrrà: 7 miliardi di euro in un biennio. Spettacolare, tuttavia, la motivazione usata per colpire le banche: evitare che guadagnino dal rialzo del tassi. Geniale, non trovate? Abbiamo creato lo stigma dello sfruttamento durante una ripresa economica e/o inflazionistica.

Gli Stranamore italiani saranno invidiosi di questa motivazione, che tuttavia non è interamente originale perché attinge alla teorizzazione del sultano turco, Recep Tayyip Erdogan: no alla lobby degli alti tassi d’interesse. Non si inventa nulla, e ormai i partiti hanno “dipartimenti” che passano il tempo a monitorare gli altri paesi alla ricerca delle worst practices da sottoporre al popolo stressato.

La misura spagnola causerà da noi le abituali invocazioni “facciamo come [inserire il nome del paese prescelto]!” Scordando che in Italia la tassazione degli extraprofitti supera i 10 miliardi di euro in un solo anno. Ma si sa, meglio abbondare e mutuare le migliori prassi altrui, eventualmente cumulandole.

Sollevatevi tirandovi per le stringhe

Ultimi ma non per ultimi, i tipi pratici. Quelli che badano al sodo senza troppe seghe mentali: subito cinquanta miliardi di euro di scostamento, per gli amici deficit, per “mettere soldi in tasca agli italiani”. Nessun problema il fatto che nuovo debito scatenerebbe lo spread contro il nostro paese e spenderemmo altri miliardi in interessi passivi. A quel punto, tutto calcolato: si chiede alla Bce di “chiudere gli spread” e, meglio ancora, di stampare moneta. Nessun problema circa il fatto che fare deficit con inflazione alta sarebbe benzina sul fuoco.

In aggiunta a questa lista della spesa, c’è anche il segno distintivo d questa repubblica figurativa fallita fondata sulla fiscalità generale altrui. Perché figurativa? Perché serve una pensione di garanzia per i giovani, una pensione di cittadinanza per gli anziani che a malapena arrivano a sessant’anni ma devono ritirarsi dal mondo del lavoro perché hanno “altri progetti di vita”, devono far posto ai figli nel modello superfisso e comunque sono digitalmente disabili, quindi abbiamo trovato anche la causale risarcitoria della provvidenza da erogare. E anche uno “stipendio di garanzia” integrato al rialzo, con decontribuzione ad hoc in un tripudio di contributi figurativi. Shakerato, non mescolato.

Ho perso il conto del numero di interventi di contribuzione figurativa che sono stati richiesti negli ultimi anni. Se andassero in porto, avremmo un paese inattivo impegnato a stare davanti alla tv per seguire gli imprescindibili talk politici, mentre i più giovani si danno battaglia su Twitter a colpi di hashtag in spettacolari battaglie pianificate da geniali strateghi della comunicazione.

Nel frattempo, in un contesto di ormai conclamato collasso demografico, abbiamo deciso di diventare i maggiori produttori di pensionati al mondo. Purtroppo i residui vincoli di realtà ci hanno sin qui costretto a limitare gli assegni pensionistici. Ma non si butta nulla: dalle pensioni interamente calcolate col contributivo, il cui montante si “rivaluta” con la media mobile di un Pil che non aumenta, diverremo i maggiori produttori di poveri al mondo, e i giornali potranno lanciarsi in accorate denunce della fame che avanza. Se solo i giornali trovassero gente disposta a spendere soldi che non hanno per leggere simili notizie.

Un diabolico neoliberismo

Alla base di tutto questo sfascio, il neoliberismo. Così diabolicamente abile da assumere nel nostro paese le parvenze di una sorta di socialismo surreale, la via italiana al fallimento, fatta di spesa pubblica, meglio se corrente, oltre il 50% del Pil e pressione fiscale ben superiore su quanti non riescono a sfuggire al gabelliere.

Di fronte ai vincoli di realtà, cosa fa un partito temporaneamente in maggioranza? Ovvio: cerca di fuggire all’opposizione della realtà medesima. Da dove potrà spiegare come raggiungere la felicità “a partire dalla sera delle prossime elezioni”. Il problema è che la realtà non ha grande vocazione democratica e non partecipa alle elezioni, limitandosi a esistere.

Ora, se fossimo un paese arabo, centrafricano o anche sudamericano, caratterizzato da età media bassa e fertilità robusta, al capolinea di questa traiettoria troveremmo emigrazioni di massa e una probabile guerra civile. Le prime stanno lentamente affermandosi, la seconda è strutturalmente ostacolata dall’elevata età media della popolazione. Ricordate: un paese di vecchi non fa rivoluzioni. Al più, sbraita e sbava davanti al televisore.

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